Non bastano le buone intenzioni o le citazioni sulla telemedicina e le tecnologie digitali per potenziare l’assistenza territoriale o rendere più moderni i nostri ospedali. Occorre la capacità di progettare in modo sinergico e integrato la trasformazione dei processi di cura e delle soluzioni tecnologiche, sfruttando le potenzialità di queste ultime per creare valore per il sistema sanitario, i professionisti che vi operano e i cittadini.
Facile a dirsi, ma molto complicato da realizzare per una serie di ragioni.
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Innovare in Sanità non equivale a digitalizzare la burocrazia
Esprimere una domanda qualificata – e strumentale agli obiettivi indicati nel PNRR – è difficile.
Prima di tutto, serve una competenza approfondita del dominio, una chiara visione dei modelli e degli obiettivi che si vogliono raggiungere, la padronanza delle nuove tecnologie digitali e la capacità di pensare come impiegare queste ultime per realizzare una trasformazione della sanità che non sia soltanto la trasposizione, in elettronico, di modelli e processi di cura tradizionali.
Quasi sempre, le tecnologie digitali sono considerate lo strumento con cui supportare i processi di assistenza e cura dei pazienti. È una visione minimalistica che porta a replicare in digitale ciò che prima si faceva in analogico. Nei casi più eclatanti, si arriva a digitalizzare la burocrazia, i limiti e le inefficienze che sono presenti nella pubblica amministrazione.
Concetti come la continuità e l’integrazione delle cure vengono declinati, in chiave digitale, con la condivisione di documenti e la collaborazione tra clinici attraverso strumenti di videoconferenza. Il paradigma è “svolgere a distanza” – con le stesse modalità – ciò che si fa in presenza.
Il limite culturale dei nativi analogici
Per molti, questa trasposizione è l’obiettivo agognato da raggiungere e il fine ultimo delle tecnologie digitali. L’entusiasmo e le aspettative che ci sono sulla telemedicina, intesa come televisite e telemonitoraggio, sono indicative di questo atteggiamento che accomuna esperti delle tecnologie, medici considerati all’avanguardia, dirigenti della Sanità.
Si tratta di un limite culturale di “nativi analogici” che non sono in grado di pensare al di fuori di schemi e meccanismi che sono stati appresi nel loro percorso formativo e che si sono radicati poi nella loro esperienza lavorativa in contesti in cui il cambiamento e l’innovazione rappresentano un problema piuttosto che un’opportunità.
Coloro che, negli enti centrali, nelle regioni e nelle aziende sanitarie, hanno la responsabilità o sono coinvolti nel processo di innovazione e trasformazione, spesso non possiedono le conoscenze e le competenze per svolgere questo ruolo.
Innovazione: affinché sia reale, serve una strategia complessiva
Non si è mai investito in questo ambito anche perché non c’è mai stata una reale strategia complessiva di governo e promozione dell’innovazione.
Si parla tanto di questi temi, si scrive e si organizzano convegni in una spirale autoreferenziale in cui i protagonisti di questa rivoluzione, da tempo annunciata, propongono vecchi modelli conditi con qualche contenuto tecnologico.
Persino nelle facoltà universitarie di Medicina, nei corsi dove è stata introdotta l’Informatica Medica, il programma di studio per i futuri medici si basa, nella maggioranza dei casi, sull’insegnamento di concetti di base sul funzionamento dei computer e l’uso di programmi di videoscrittura e fogli elettronici!
L’inserimento, in qualche azienda sanitaria, di un Responsabile della trasformazione digitale, è spesso un tentativo isolato per sopperire alle carenze di competenze specifiche in tale ambito di medici, funzionari e dirigenti. Volendo fare un paragone sportivo, è come assumere un allenatore di grande livello per una squadra di atleti mediocri. Si possono avere grandi idee e ottimi schemi di gioco, ma poi chi li deve applicare – spesso – non è in grado.
I fondi del PNRR e il rischio “autogoal”
Mancanza di formazione, carenza di stimoli, scarsità di risorse economiche, assenza di una strategia sull’innovazione, hanno determinato la situazione attuale che non è, tuttavia, al centro dell’attenzione e della discussione sulla Sanità pubblica. Sembra quasi che questo problema non esista o che non sia poi così importante.
Si ritiene che i fondi che finalmente stanno arrivando possano, grazie a degli indirizzi di massima contenuti nel PNRR e nei documenti che stanno descrivendo i nuovi modelli di assistenza, produrre un cambiamento di valore della sanità.
La capacità di produrre valore non è uno slogan politicamente corretto ma una necessità che è insita nel PNRR.
Terminati i fondi addizionali, nel 2026, ciò che si sarà messo in piedi, che rappresenterà un incremento di costi per il Sistema Sanitario Nazionale, potrà reggersi soltanto se ci sarà una riduzione di costi. Senza di questa, bisognerà incrementare ulteriormente la spesa sanitaria, manovra non facile da compiere per i vincoli che ci sono sul bilancio dello Stato.
Gare d’appalto e capitolati tra “copia-incolla” e “nice to have”
I limiti strutturali appena descritti si ripercuotono sulla qualità e innovatività della domanda e, una volta completato l’iter amministrativo, sulla capacità di governare e controllare i progetti.
Nel caso delle gare di appalto, la stesura del capitolato tecnico è un lavoro lungo e complesso che richiede esperienza, competenze tecnologiche e del dominio applicativo, chiara visione degli obiettivi attesi, consapevolezza sullo stato dell’offerta, cognizione di causa sull’importo economico da prevedere e tanto tempo. Anche per queste ragioni, la pratica del “copia e incolla” è molto diffusa ma non risolve, se non in minima parte, le carenze degli elementi sopra citati.
Dobbiamo ammettere che la qualità dei capitolati è spesso bassa, i requisiti funzionali non sono ben dettagliati, mentre quelli non funzionali sono talvolta una raccolta di tecnologie, metodologie, norme, non sempre attinenti all’oggetto della gara e coerenti tra di loro (assomigliano, a volte, a una lista di “nice to have”).
Valutazione delle offerte: l’aspetto critico dell’oggettività
I criteri e le modalità di valutazione delle offerte sono poi l’aspetto più critico di una procedura di gara.
Non è facile, in alcuni casi quasi impossibile, esprimere dei criteri oggettivi e non discrezionali.
Ad esempio, come misuro la facilità d’uso di un sistema?
Quando la valutazione si basa sui documenti prodotti, il rischio è di premiare non la soluzione migliore, ma quella descritta meglio.
Anche dove è prevista una demo, non è facile valutare in modo oggettivo sistemi diversi, distinguere una funzione prototipale da una effettiva, discernere tra ciò che è vero e ciò che è verosimile.
Convenzioni Consip e innovazione basata sul valore
Non va meglio nemmeno con le convenzioni Consip.
In questo caso, lo sforzo per le aziende sanitarie e le regioni è nettamente inferiore a quello delle gare di appalto.
Il committente redige un piano dei fabbisogni che, di norma, è molto meno dettagliato di un capitolato di gara.
Il fornitore, sulla base di questo, deve predisporre un piano operativo entro un termine massimo di 15 giorni lavorativi. Questo deve includere un piano di lavoro coerente con il fabbisogno, un piano della qualità, i curricula delle risorse professionali e la proposta progettuale.
L’impianto delle convenzioni Consip, basato sull’erogazione di servizi professionali, indirizza il piano dei fabbisogni verso un’innovazione di tipo tecnologica piuttosto che basata sul valore. Il minor livello di dettaglio del piano dei fabbisogni rispetto a un capitolato tecnico richiede una maggiore capacità di governo e monitoraggio del progetto da parte del committente che, però, spesso non è presente.
Come qualificare la domanda
L’errore più comune è perseguire strategie che tentino di superare questo problema attraverso scorciatoie o con approcci centralistici.
Un esempio è quello – già anticipato – relativo all’istituzione del Responsabile della trasformazione digitale: figura certamente necessaria ma non sufficiente, da sola, a incidere in modo significativo sulla qualità e l’innovatività della domanda che deve essere un’espressione plurale di esigenze, indirizzi, obiettivi e soluzioni.
Il Responsabile della trasformazione digitale non è un “tuttologo” né può – da solo – far le veci di tanti professionisti.
L’approccio dirigista o centralistico che, in apparenza, supera le carenze presenti a livello locale o regionale prova a calare dall’alto soluzioni innovative che sono però spesso progettate da chi è lontano dai processi clinici e sanitari e finiscono quindi, ancora una volta, per essere focalizzate sull’innovazione tecnologica anziché di valore.
La qualificazione della domanda non può prescindere da un percorso formativo che coinvolga i quadri intermedi e la dirigenza delle regioni e delle aziende sanitarie nell’ambito di un progetto nazionale per la promozione e il governo dell’innovazione.
Progetto che andrebbe definito coinvolgendo gli esperti del settore e che andrebbe finanziato e perseguito con la massima determinazione.
L’investimento nel capitale umano è propedeutico a qualsiasi politica di innovazione.