Un adagio della lingua inglese recita: “Un penny per i tuoi pensieri”.
È una frase che si fa risalire al sedicesimo secolo, ma sicuramente ha radici ben più antiche ed esprime l’ancestrale desiderio di riuscire a intuire cosa passa per la mente altrui.
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Brain Computer Interface: comunicare con il pensiero
Un desiderio – quello di “leggere” l’altrui pensiero – che ha ispirato molti libri e film, ma che, già da diversi anni, sia pure nelle forme meno eclatanti e più concrete della ricerca scientifica, sta facendo passi da gigante verso la realtà grazie alle cosiddette interfacce cervello-computer (BCI, Brain Computer Interface), una sorta di trasduttori che trasformano l’attività cerebrale in segnali comprensibili da un elaboratore elettronico, il quale li converte, ad esempio, in un testo o in un suono.
Semplificando, potremmo affermare che le BCI consentono potenzialmente di “conoscere” il pensiero di un’altra persona grazie alla capacità di abilitare una comunicazione attraverso gli impulsi cerebrali.
Il mercato delle BCI: come si muovono i colossi dell’informatica
Le BCI sono studiate da decenni e tali studi non sono limitati solo all’ambito accademico.
Sul versante commerciale, infatti, si stanno sfidando alcuni grandi nomi dell’informatica:
da una parte Elon Musk con la sua azienda Neuralink, che sta seguendo una sperimentazione sugli animali. Dall’altra, ci sono invece Bill Gates e Jeff Bezos che hanno investito 75 milioni di dollari in Synchron, azienda che sta già sperimentando una BCI impiantata in alcune persone paralizzate.
Si tratta, però, di due approcci molto differenti: il metodo usato da Synchron prevede di impiantare sulla superficie cerebrale uno stent endovascolare (stentdrode) agendo dalla vena giugulare, mentre Neuralink prevede l’installazione di un sensore rimuovendo una piccola porzione di corteccia cerebrale e collegando tale sensore al tessuto cerebrale tramite elettrodi.
Brain Computer Interface: le prospettive delle soluzioni commerciali
Sinora – pur tra i tanti proclami (Musk ha affermato che la sua Neuralink farà camminare i paralizzati e vedere i ciechi, arrivando a trasformare le persone in cyborg!) ed i recenti problemi con FDA per ottenere l’autorizzazione a testare i suoi chip cerebrali sugli esseri umani – non pare siano ancora emersi, nel concreto, risultati eclatanti dagli esperimenti svolti dalla compagnia di Musk.
Synchron, al contrario, ha già messo in atto esperimenti e prospettive, apparentemente più concrete, in campo medico e sanitario.
Synchron: BCI ed eye-tracking nelle persone con SLA
Nel 2021, Synchron ha impiantato una BCI e un sistema di eye-tracking in quattro persone affette da SLA e non più in grado di muoversi per consentire loro di effettuare in modo autonomo alcune azioni, come scrivere mail o messaggi, fare acquisti online ed eseguire azioni bancarie.
Lo studio è durato tre mesi e ha dimostrato che l’eye-tracking ha comportato importanti latenze e affaticamento, effetti non emersi, invece con la BCI, ragion per cui l’eye-tracking è stato rapidamente abbandonato.
Le persone si sono abituate velocemente al sistema basato su BCI e hanno riacquistato una soddisfacente autonomia nelle azioni previste, riuscendo a gestire un computer da soli, una volta avviato.
Due partecipanti sono deceduti dopo lo studio a causa della malattia in corso, ma gli altri due hanno continuato a usare la BCI e la stanno usando tuttora, fornendo così un’indicazione della costante sensibilità nel tempo del sensore nei confronti dei segnali neuronali.
Brain Computer Interface di nuova generazione
La scorsa estate Synchron ha impiantato un nuovo stentdrode in una persona paralizzata per condurre ricerche sulle BCI di nuova generazione, come quelle da utilizzare in caso di ictus o epilessia. I risultati non sono ancora stati completamente comunicati.
È noto, invece, come sia stata opera della stessa Synchron l’invio del primo messaggio social da parte di un paziente con SLA: è accaduto in Australia, dove Philip O’Keefe – affetto da questa patologia degenerativa – è riuscito ad inviare autonomamente un tweet attraverso il profilo del CEO di Synchron, l’azienda che ha sviluppato l’interfaccia BCI di nuova generazione “Stentrode”.
La BCI di nuova generazione Stentrode™ sviluppata da Synchron: un dispositivo cerebrale impiantabile minimamente invasivo in grado di interpretare i segnali dal cervello nei pazienti con paralisi. Impiantato attraverso la vena giugulare, viene posizionato nel cervello senza necessità di un intervento chirurgico a cervello aperto
I responsabili dell’azienda Synchron sono convinti che ci siano “enormi opportunità di avere un impatto positivo sulla Medicina per le malattie cerebrali” utilizzando le BCI.
Ritengono, però, che potrebbero comunque passare anni prima che questa classe di tecnologia venga approvata dagli enti competenti e possa essere concretamente disponibile per i chirurghi per essere impiantata di routine come standard di cura.
Interfacce neurali: un esempio in Italia
Anche nel nostro Paese, non mancano eccellenze nel settore delle neurotecnologie.
È il caso dell’italiana Vibre, azienda che sviluppa interfacce neurali e neurotecnologie in diversi settori di applicazione e che – ad esempio – è stata scelta dal servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna (Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara) per eseguire il monitoraggio di cardiologi interventisti che eseguono interventi per diversi turni durante tutta la giornata.
I dati – afferma l’azienda – sono stati utilizzati per stabilire una soglia sul limite di interventi al giorno che ciascun cardiologo può eseguire in maniera sicura.
Neurotecnologie ed interfacce neurali: scenari futuri. Raffaele Salvemini – Founder e CEO Vibre – al TEDxCesena 2021 (fonte: TEDx)
BCI: le prospettive dal mondo della ricerca
Il mondo accademico è anch’esso in continuo fermento e si susseguono esperimenti e ricerche dedicate alle Brain Computer Interface.
Uno studio della Stanford University della California ha ottenuto di recente ottimi risultati nel trasformare in testo i “discorsi” di una persona affetta da SLA, non più in grado di parlare, decodificando gli impulsi cerebrali attraverso una BCI.
Il team di ricercatori della Stanford University ha messo a punto un sistema in grado di decodificare un parlato con una velocità mai raggiunta prima con una BCI – 62 parole al minuto – che inizia ad avvicinarsi alla velocità della conversazione naturale (160 parole al minuto), ovvero 3,4 volte superiore al record precedente.
È la prima volta, hanno sottolineato i ricercatori della Stanford University, che una BCI ha superato in modo evidente le velocità di comunicazione che tecnologie alternative possono fornire alle persone con paralisi (per esempio, l’eye-tracking).
Un passo molto importante per tutte le persone affette da disturbi neurologici, come l’ictus del tronco encefalico o la SLA, che presentano spesso gravi disturbi del linguaggio e della motricità e, in alcuni casi, perdono completamente la capacità di parlare.
BCI: superati limiti e vincoli precedenti
Le BCI permettono, quindi, alle persone paralizzate, di ripristinare una comunicazione rapida, decodificando l’attività neurale evocata da movimenti vocali tentati (non è necessario che sia emesso il suono).
Sebbene promettenti, i risultati sinora ottenuti non avevano ancora raggiunto una precisione sufficiente per consentire un’efficace comunicazione usando frasi non vincolate all’interno di un ampio vocabolario.
Questo, appunto, sinora. I ricercatori della Stanford University hanno infatti realizzato la prima BCI speech-to-text in grado di registrare l’attività degli spike (gli impulsi elettrici generati dai neuroni) acquisendola tramite array di microelettrodi intracorticali. Un sistema che permette di avere registrazioni ad alta risoluzione.
Testando questo nuovo metodo di acquisizione su una persona non più in grado di parlare in modo intelligibile a causa della SLA, è stato raggiunto un tasso di errore di parola del 9,1% su un vocabolario di 50 parole (ovvero sono stati ridotti di 2,7 volte gli errori rispetto alla BCI vocale più performante sinora disponibile) e un tasso di errore di parola del 23,8% su un vocabolario di 125.000 parole, fornendo quindi la prima dimostrazione di successo della decodifica di un vocabolario di grandi dimensioni (cioè una comunicazione senza vincoli su qualsiasi frase l’utente voglia pronunciare).
Prossimo obiettivo: ridurre ulteriormente gli errori
La dimostrazione fornita è un “proof of concept” che dimostra come la decodifica dalle registrazioni intracorticali dei movimenti vocali tentati sia un approccio promettente.
Tuttavia, ammettono i ricercatori, non è ancora un sistema completo e clinicamente valido. C’è parecchio da fare per ridurre il tempo necessario ad addestrare il decodificatore affinché si adatti ai cambiamenti dell’attività neurale che si verificano nel corso dei giorni, senza richiedere all’utente di ricalibrare la BCI.
L’aspetto che maggiormente enfatizzano alla Stanford University è che un tasso di errore di parola del 24%, probabilmente, non è ancora abbastanza basso per l’uso quotidiano
(i sistemi speech-to-text più avanzati hanno un tasso di errore di parola del 4-5%).
Ciononostante, sottolineano, i risultati sono promettenti e lasciano ben sperare per un’ulteriore riduzione dei tassi di errore.
Tale riduzione potrà essere ottenuta, in primo luogo, con l’aggiunta di altri canali, perché le tecnologie intracorticali che registrano più canali tendono a fornire tassi di errore più bassi.
In secondo luogo, è ancora possibile ottimizzare l’algoritmo di decodifica. Infatti, è già stato ridotto il tasso di errore di parola all’11,8% nelle analisi offline con ulteriori accorgimenti tra i quali un miglioramento del modello linguistico.
Il futuro delle Brain Computer Interface vocali intracorticali
I ricercatori della Stanford University evidenziano di aver dimostrato che la corteccia premotoria ventrale (“area 6v”) contiene una ricca rappresentazione degli articolatori del linguaggio anche in un’area di dimensioni ridotte (3,2×3,2 mm) e che i dettagli di come vengono articolati i fonemi possono essere rappresentati fedelmente anche anni dopo la paralisi in una persona che non può più parlare in modo intelligibile.
L’insieme di questi dati suggerisce come un sistema a più alto numero di canali che registra solo da una piccola area di 6v rappresenti un percorso fattibile verso un dispositivo in grado di ripristinare la comunicazione a velocità di conversazione nelle persone con paralisi.
In definitiva, i risultati raggiunti mostrano come l’utilizzo di BCI vocali intracorticali sia una strada percorribile per ripristinare una comunicazione rapida nelle persone paralizzate che non possono più parlare.
BCI in Sanità: la strada è giusta, ma serve ancora tempo
Da quanto finora analizzato, ossia dalle soluzioni – concrete e in prospettiva – offerte dalle aziende commerciali sul mercato e dagli ultimi studi e ricerche provenienti dal mondo accademico, sembra davvero che, riguardo all’uso delle BCI in ambito Healthcare – nella direzione delle tecnologie in grado di migliorare la vita – si sia davvero imboccata la strada giusta per imparare a conoscere “cosa passa per il cervello di una persona”. E per aiutare quella persona nelle patologie che ostacolano la sua comunicazione verbale con il mondo esterno.
Ma, al momento, per vedere questi sistemi operare concretamente, con sicurezza e con pieno successo ed efficienza ogni giorno nelle nostre strutture sanitarie, considerandoli cioè dispositivi medici “di routine”, dovremo aspettare ancora un po’ e, per ora, speriamo ancora per poco, accontentarci dell’adagio: “Un penny per i tuoi pensieri”.