Sempre più frequentemente si definisce la sanità un ecosistema, termine in verità molto di moda in questi tempi. A partire da questo concetto si elaborano ragionamenti, si impostano strategie e si decidono iniziative.
Ma quanto c’è di vero in questa asserzione? La sanità può essere considerata un ecosistema?
Consideriamo due aspetti di un sistema: l’interazione tra i componenti che lo costituiscono e il perseguimento di una finalità comune.
Malgrado da tanti anni si parli di integrazione ospedale–territorio, continuità di cura e di un modello di sanità con il “paziente al centro”, in realtà le cure e l’assistenza sanitaria sono frammentate tra diversi soggetti che non comunicano tra loro e che operano in modo disgiunto gli uni dagli altri.
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L’integrazione non è solo un problema tecnologico
La risposta che la sanità si è data per superare questa situazione e conseguire una reale integrazione delle cure è realizzare strutture fisiche in cui collocare professionisti di diversi setting assistenziali e utilizzare le tecnologie digitali per connettere tra loro i diversi presidi.
Le Case della Comunità (1.288), ad esempio, previste dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) con un investimento di 2 miliardi di euro, sarebbero “lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità – si legge nel Piano – sarà presente il Punto Unico di Accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali”.
L’idea alla base di questo paradigma è che l’integrazione delle cure, per essere realizzata, richieda una struttura fisica nella quale collocare le cure primarie, gli specialisti, gli infermieri e gli assistenti sociali. Si ritiene che la mancanza di integrazione attuale dipenda principalmente quindi dalla distanza fisica che separa questi professionisti.
In realtà l’isolamento delle cure primarie è, prima di tutto, organizzativo e nasce dall’inquadramento dei medici di medicina generale (MMG) e dei pediatri di libera scelta (PLS) che sono professionisti autonomi che operano in virtù di un rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale.
Questi medici scelgono e gestiscono in autonomia il proprio sistema informativo che non vogliono sia integrato, ossia “aperto”, ad altri professionisti sanitari.
Ma il sistema informativo è soltanto la conseguenza, non la causa, di un atteggiamento e di un modello professionale che vede questi medici operare in solitudine, isolati dal resto delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale.
La frammentazione, però, non riguarda soltanto la collaborazione tra i diversi setting assistenziali ma esiste persino all’interno di questi. L’ospedale, ad esempio, opera per lo più per “compartimenti stagni” in cui diversi professionisti affrontano e trattano un problema di salute alla volta.
La specializzazione della medicina trascende una visione olistica della salute del paziente che si relaziona con diversi professionisti e cerca di armonizzare le cure e le terapie che riceve, talvolta con l’aiuto del proprio medico di famiglia.
La condivisione della conoscenza
La medicina non è una scienza esatta ma una pratica che si basa sulle conoscenze scientifiche. Le conoscenze non riguardano, però, soltanto il processo decisionale dei medici e la loro capacità di diagnosticare e trattare in modo efficace le patologie, ma sono necessarie anche per lo sviluppo delle tecnologie digitali e mediche.
I medici possiedono, per esperienza e formazione professionale, la conoscenza della pratica clinica. Hanno consapevolezza delle loro esigenze e di tutti gli ambiti che vi incidono, tra cui gli aspetti medici, assistenziali, organizzativi, amministrativi e di privacy.
Non hanno, viceversa, conoscenza delle tecnologie, sia per quanto riguarda le potenzialità che queste possono offrire, sia per gli aspetti più ingegneristici. Le aziende che sviluppano soluzioni tecnologiche, soprattutto quelle digitali, dominano questi aspetti ma non conoscono, se non sommariamente, il mondo della medicina reale.
Questo problema non riguarda, però, solo le aziende ma tocca anche il mondo della ricerca tecnologica e dell’università.
L’incontro tra questi due mondi, la medicina e la tecnologia, facile in un ecosistema reale, è difficile da realizzare nella pratica.
Molte startup, ma lo stesso vale anche per aziende di grandi dimensioni e dalla lunga storia, progettano e sviluppano soluzioni e tecnologie senza avere una conoscenza approfondita della pratica clinica e di tutti gli aspetti che la caratterizzano. Sono davvero poche le startup fondate da medici insieme a tecnici che sviluppano innovazione. Le aziende ICT della sanità sono costituite tra informatici e laureati di discipline scientifiche (ingegneria, fisica, matematica), mentre medici e infermieri sono una rarità.
Lo stesso limite esiste anche nelle facoltà universitarie. In una facoltà di informatica, ad esempio, ci sono esperti di intelligenza artificiale ma c’è poca conoscenza dell’ambito medico. Non è raro, quindi, vedere progetti tecnicamente eccellenti che però mancano di realismo e sono di fatto poco applicabili nella realtà clinica.
Il paziente al centro, per modo di dire
Nella visione ideale, la sanità dovrebbe essere un ecosistema con il “paziente al centro”. La realtà delle cose, però, è ben diversa.
Il paziente ha un suo rapporto con le tecnologie, più o meno profondo in funzione delle sue attitudini e delle sue capacità. S’informa sul web e vi ricorre per approfondire i temi di salute che lo riguardano, dato che l’interazione con i medici (anche prima della pandemia) è poco soddisfacente sia in termini di tempo, sia per il linguaggio che i medici adoperano che – spesso – è poco comprensibile. Adopera smartphone, smartwatch, app e dispositivi medici che non sono connessi con i suoi medici curanti. Funge da aggregatore e collettore di documenti che raccoglie e smista secondo necessità.
C’è poca condivisione delle scelte terapeutiche con i medici che – spesso – agiscono con un “rapporto paternalistico” che, nella società di oggi, è poco accettato dai pazienti.
La stessa rappresentazione della sanità e dei servizi è – di norma – impostata più per rappresentare l’organizzazione delle aziende che non per rispondere ai bisogni dei cittadini.
I siti web delle aziende sanitarie descrivono l’organizzazione, distinguendo tra dipartimenti, unità operative semplici e complesse, servizi: una logica comprensibile per gli addetti ai lavori ma poco intuitiva per il paziente medio. Gli stessi nomi dei reparti sono talvolta poco evocativi. Una persona con problemi di diabete potrebbe dover rivolgersi a un reparto di endocrinologia, di medicina oppure al servizio di diabetologia.
I servizi online a disposizione dei pazienti riguardano essenzialmente pratiche amministrative quali la prenotazione, il pagamento del ticket o il download di referti.
Dopo un ricovero, il personale medico redige la lettera di dimissione, un documento che è indirizzato al medico di famiglia. Al paziente vengono date soltanto istruzioni verbali e qualche foglio di accompagnamento.
Come costruire un ecosistema della sanità
Prima di tutto, è necessario prendere atto che la sanità non è, oggi, un ecosistema. E ragionare su quali iniziative si debbano intraprendere affinché lo diventi.
Nascondere la realtà dietro slogan o semplificazioni che non trovano riscontro nella sanità odierna è fuorviante e impedisce qualsiasi tentativo di miglioramento.
Bisognerebbe avere il coraggio di partire da un foglio bianco sul quale collocare gli attori, i ruoli e le caratteristiche che li contraddistinguono, quindi ragionare su come la conoscenza e le tecnologie possano connetterli e metterli in condizione di operare insieme (interagire) e perseguire una finalità comune.
Sarebbe necessario pensare a un mondo della medicina “phygital”, ossia un ibrido tra pratica in presenza, fisica, e a distanza, cioè digitale.
Si dovrebbe pensare al paziente come a un “cliente” e applicare nei suoi confronti tutte le metodiche e le logiche che si adoperano nel mondo commerciale e dei servizi. Capovolgere l’attuale approccio che vede la sanità aspettare passivamente il paziente per – invece – ingaggiarlo e coinvolgerlo con un paradigma pro-attivo volto alla tutela della salute piuttosto che – soltanto -alla cura della malattia.
Bisognerebbe, infine, fare ogni sforzo per favorire un processo di osmosi tra le diverse competenze e i saperi per migliorare, diffondere e condividere la conoscenza.
Occorre riconoscere che non è certamente un percorso facile, per tanti motivi. È l’unica strada, però, per migliorare e rendere sostenibile – nel prossimo futuro – il modello di servizio sanitario che abbiamo oggi e che rappresenta un valore della nostra società.
Il tema della “One Health, digital” – approccio secondo cui è fondamentale che salute e Sanità evolvano rapidamente da semplice sistema ad ecosistema – sarà al centro di FORUM PA Sanità 2021, evento digitale organizzato da FPA e P4I-Partners4Innovation, società del Gruppo DIGITAL360, in programma il 27 e il 28 ottobre. L’evento si aprirà con l’incontro One Health, digital: da una logica “egocentrica” a quella “ecocentrica” sfruttando la leva dell’innovazione digitale nel corso del quale verranno analizzate le priorità e le possibili azioni per una salute globale e digitale. Gli appuntamenti di FORUM PA Sanità, tutti gratuiti, saranno trasmessi in streaming sulla piattaforma di diretta di FPA, per seguirli è necessario accreditarsi dal sito dell’evento.