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Telemedicina: le Indicazioni enorme passo avanti, ma occorre accelerare per recepire e attuare l’Intesa

Luci e ombre sull’applicazione dei servizi di telemedicina: soltanto due regioni hanno già recepito l’Intesa. Nelle restanti, i servizi sono organizzati e funzionanti, ma senza un quadro giuridico definito

Pubblicato il 02 Feb 2022

Silvia Stefanelli

Avvocato cassazionista esperta di diritto sanitario e sanità digitale - Studio Legale Stefanelli&Stefanelli

Giorgia Verlato

Avvocato - Studio Legale Stefanelli&Stefanelli

telemedicina indicazioni

È passato un anno dall’approvazione dell’Accordo Stato Regioni che ha approvato le “Indicazioni nazionali per l’erogazione delle prestazioni in telemedicina” emanate dalla Conferenza Stato-Regioni: è quindi tempo per un primo bilancio.

Se il 2020 è stato, infatti, l’anno in cui – causa Covid – si sono aperte le porte a tale modalità di erogazione delle prestazioni, l’anno 2021 sembra essere stato l’anno in cui  le diverse modalità “tele” (telemedicina, teleassistenza, telemonitoraggio…) sono salite  al rango di strumenti attraverso i quali ridisegnare il nostro SSN: basti solo pensare allo spazio creato dal PNRR.

Se così è – e chi scrive se lo augura – occorre allora avere strumenti giuridici che funzionano.

Sotto questo profilo, le Indicazioni per la telemedicina (sopra citate) rappresentano senza dubbio un enorme passo avanti, ma la strada è ancora lunga e irta di qualche ostacolo.

Telemedicina: siamo indietro nel recepire e attuare l’Intesa 

Emanate ai sensi dell’art. 4 co 1 del D.Lgs. 281/1997, le Indicazioni rappresentano un mero “accordo” tra Stato e Regioni la cui finalità è quella di coordinare l’esercizio delle  rispettive competenze.
In altre parole, non si tratta di un provvedimento direttamente applicabile, ma solo di una “intesa” utile alle Regioni che, ai sensi dell’art. 8-ter e 8 -quater del D.Lgs 502/’92, devono poi recepirlo ed attuarlo nelle singole Regioni, definendo quindi i requisiti per autorizzazione ed accreditamento per l’erogazione delle prestazioni in tale modalità da parte delle strutture pubbliche e private.

Sotto questo profilo, siamo un po’ indietro.

Mentre, infatti, nel corso dell’anno 2020 quasi tutte le Regioni – spinte dal “bisogno” creato dal Covid – erano intervenute sul profilo tariffario delle prestazioni in telemedicina (per un elenco dettagliato delle delibere assunte si vedano gli Istant Report di ALTEMS dell’Università Cattolica del Sacro Cuore), per quanto attiene  alla “attuazione” dell’Intesa –  e quindi alla definizione dei requisiti tecnici, organizzativi e di personale –  soltanto due regioni hanno recepito l’Intesa: l’Emilia Romagna con la DGR n. 1227/2021 e la Valle d’Aosta con  DGR n. 1519/2021.

Nelle restanti regioni, i servizi sono organizzati e funzionanti (magari, anche molto bene), ma senza un quadro giuridico definito.

Telemedicina: importanza e valore dei contenuti dell’Intesa 

Senza dubbio, il documento ha il grandissimo pregio di definire (anche dal punto di vista semantico) le diverse fattispecie, chiarendo che cosa dobbiamo intendere e le relative differenze tra:

  • Televisita
  • Teleconsulto medico
  • Teleconsulenza medico-sanitaria
  • Teleassistenza da parte di professioni sanitarie
  • Telerefertazione.

Può sembrare un esercizio di stile ma, per gli addetti ai lavori, è fondamentale definire i contesti ed il valore delle parole.
Inoltre, si traccia con chiarezza il flusso del processo.
Analogamente, infatti, a quanto accade per le prestazioni sanitarie erogate “in presenza”, gli operatori coinvolti nell’erogazione di telemedicina hanno l’obbligo di rendicontare il flusso delle prestazioni a distanza, secondo le specifiche ragionali, al fine di garante il monitoraggio della spesa pubblica nel settore sanitario.
Da tali previsioni, emerge chiaramente la volontà di attribuire all’assistenza sanitaria erogata a distanza la stessa portata, in termini di rilevanza sanitaria e costi, attribuita all’attività sanitaria in presenza.

Responsabilità sanitaria, standard e nuove figure qualificate 

Anche in materia di responsabilità sanitaria, l’Intesa prescrive il rispetto delle norme che disciplinano la professione sanitaria, con l’incombenza degli ulteriori adempimenti peculiari di una “sanità digitale”, quale una preventiva adesione informata dell’assistito per accedere a un sistema di comunicazione remota con il professionista: tali profili danno contenuti e concretezza al richiamo – molto labile –  dell’art. 7 delle legge 24/2017 (la c.d. legge Bianco-Gelli sulla responsabilità sanitaria) che, nel dettare le regole per il riparto della responsabilità fra struttura sanitaria e singolo esercente, fa rientrare in tale ambito anche le prestazioni erogate “attraverso la telemedicina”.

L’Intesa, poi, definisce quali devono essere gli standard a supporto della prestazione del medico, quali a supporto del paziente e quali (in generale) quelli che devono sussistere per l’organizzazione dell’intero servizio.
In particolare, appare molto rilevante la previsione di nuove figure altamente qualificate ed adeguatamente formate per gestire l’infrastruttura informatica riservata alla telemedicina, figure del tutto nuove oggi non previste dalle normative regionali in materia di autorizzazioni e accreditamenti regionali.

Strutture sanitarie: “pubbliche e accreditate” o anche “autorizzate”?

L’Intesa rappresenta, quindi, un documento – nella sua struttura generale – ampio e completo.
Quando, però, si comincia a cercare di applicarlo, appaiono alcune incrinature.

In primo luogo, i soggetti a cui sembra essere indirizzato.

Il documento, infatti, si rivolge espressamente alle strutture sanitarie pubbliche e accreditate, le quali possono erogare i servizi di telemedicina in virtù dell’autorizzazione sanitaria ottenuta per l’esercizio dell’attività sanitaria “in presenza”, mentre rimane piuttosto vago rispetto alle strutture sanitarie “solo” autorizzate.

Neppure le delibere regionali assunte (DGR Emilia-Romagna n. 1227/2021 e valle d’Aosta DGR n. 1519/2021) chiariscono il punto.

Da tale silenzio, emerge così una opposta linea interpretativa circa la possibilità per i privati di poter erogare servizi sanitari in telemedicina.

Telemedicina: l’assurdo delle regole diverse tra Pubblico e Privato 

Seguendo un orientamento restrittivo, infatti, il documento potrebbe limitare (se non addirittura impedire) al privato di poter svolgere lecitamente prestazioni sanitarie a distanza.
Ma è ovvio che, in questo caso, si paventerebbe una ingiustificata restrizione all’iniziativa economica degli operatori privati nell’erogazione dell’attività sanitaria e una limitazione di cure all’utenza privata, profili entrambi contrari al regime autorizzativo del nostro SSN.

Al contrario, un orientamento troppo ampio potrebbe portare a sostenere che il privato, non essendo destinatario di regole pensate per il pubblico, possa essere libero di erogare telemedicina senza seguire l’Intesa (o, meglio, le delibere regionali che ne daranno attuazione).
Ma anche questo è un assurdo, in quanto si creerebbe un parallelo e disordinato sistema di regole diverse tra pubblico e privato, contrario al nostro ordinamento (legge 833/’78 e D.Lgs 502/’92) e che vanificherebbe gli sforzi fatti per avere un quadro unitario a tutela dei pazienti e degli stessi erogatori.

Il dubbio: hardware/software certificati come dispositivo medico

Altro aspetto che fa sorgere qualche dubbio – e moltissimi problemi applicativi – è la previsione che hardware e/o software devono essere certificati come dispositivo medico (previsione presente nel documento delle Indicazioni al punto “Prestazioni sanitarie a distanza: elementi e standard necessari” – lett. g – alla pagina 12).

Tale previsione, seppur finalizzata ad aumentare il livello di sicurezza della cura, rischia –  nei fatti  – di ritardare, se non ostacolare del tutto, la possibilità di erogare le attività di telemedicina.
In primo luogo, infatti, allo stato, la maggior parte dei servizi di telemedicina che sono stati attivati utilizzano software che non sono dispositivi medici (pur assolvendo, in pratica, la funzione di mettere in contatto i soggetti interessati).
Quindi, dobbiamo chiederci quale sarà il destino dei software già al servizio delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate e se, soprattutto, il pubblico sia in grado (economicamente) di cestinare i software non medical device per acquistare sofwtare as medical device (SAMD).

Qui si apre un rilevante profilo economico.

Il 26 maggio 2021, infatti, è diventato pienamente efficacie il nuovo Reg. Ue 2017/745 sui dispositivi medici (c.d. MDR)

In forza di tale nuova disciplina, l’ottenimento della certificazione CE è molto più complessa e, per i software, richiede (quasi sempre) l’intervento di un Organismo Notificato, con un rilevante aggravio di tempi e costi (ne abbiamo parlato in questo approfondimento).
Oggi, infatti, i SAMD marcati CE ex MDR sono pochissimi. D’altra parte, i software marcati CE – secondo la precedente Dir 93/42/CEE – possono essere commercializzati solo a patto che la marcatura sia precedente al 26 maggio 2021 e che il software stesso non subisca cambiamenti significativi (art. 120 Reg. Ue 2017/745).

Quindi, si rischia di voler erogare il servizio in telemedicina, ma avere difficoltà a reperire la tecnologia per farlo.

Indicazioni nazionali per la telemedicina: conclusioni

Innanzitutto, va fatto un plauso alla Conferenza Stato-Regioni per il documento redatto.
Allo stesso tempo, è necessario un sollecito alle Regioni nel procedere al recepimento e, in questo frangente, correggere i profili critici perché, questa volta, la telemedicina vada a sistema.

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