Health DATA

Per il futuro della Sanità Digitale serve integrazione



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Per cogliere i vantaggi della digitalizzazione della Sanità, è fondamentale disporre di piattaforme che possano centralizzare e integrare le informazioni tra le diverse applicazioni. E stabilire una normativa che favorisca e, se possibile, renda obbligatoria, l’interoperabilità tra i dati

Pubblicato il 19 ago 2024

Fabian Zolk

Managing Director & CPO – AlfaDocs



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Negli ultimi anni, il settore sanitario sta sperimentando una trasformazione digitale senza precedenti, guidata dalla volontà di esplorare le nuove opportunità offerte dagli sviluppi tecnologici, tra cui, in primis, l’AI e dall’intenzione dei decisori politici di modernizzare un settore che impatta sul benessere dei cittadini e, dunque, sulle loro scelte di voto alle elezioni.
Basti pensare alla recente tornata elettorale nel Regno Unito, dove la promessa dei laburisti di abbreviare le liste d’attesa negli ospedali ha contribuito alla bruciante sconfitta dei Tories, considerati responsabili del declino del servizio sanitario britannico.

La crescente proliferazione di piattaforme tecnologiche

Va da sé che il combinato disposto tra la crescente domanda di soluzioni digitali da parte dei medici e le risorse messe a disposizione dalla politica, anche grazie al piano “Next Generation EU”, ha attirato l’attenzione di aziende grandi e piccole.

Così, da qualche anno, assistiamo alla crescente proliferazione di piattaforme tecnologiche per la gestione di ogni aspetto della pratica sanitaria, dalla diagnosi con l’AI, all’archiviazione di documenti e cartelle cliniche o all’organizzazione degli appuntamenti, fino al marketing, ai pagamenti e molto altro.

A rinforzare ulteriormente questo entusiasmo per l’innovazione, sono intervenuti anche i venture capital e i fondi di private equity che, constatato il potenziale di crescita del settore, hanno iniziato a investire massicciamente in startup e scale-up del mondo Healthtech,

In teoria, questa accelerazione digitale dovrebbe portare vantaggi ai medici e ai pazienti: accesso rapido alle informazioni, maggiore condivisione tra specialisti, efficientamento delle strutture e ottimizzazione dell’operatività. In un mondo perfetto, così dovrebbe essere, almeno.

Sanità digitale: integrazione, interoperabilità e condivisione dei dati

Quando, però, si passa dalla teoria alla realtà, è facile constatare che, almeno per il momento, il mondo non è così perfetto come dovrebbe. Al contrario, l’ampia disponibilità di soluzioni digitali attualmente complica, più che semplificare, la vita e il lavoro dei professionisti della Sanità e il percorso di cura dei pazienti.

Il principale “colpevole” di questa complessità è la mancanza di integrazione tra le varie soluzioni digitali e – a monte – l’assenza di una regolamentazione chiara sull’interoperabilità delle piattaforme.

Una ricerca privata, presentata a giugno alla HLTH Conference di Amsterdam, ha evidenziato che solo il 2% dei dati medici generati negli ospedali pubblici europei viene condiviso tra più applicazioni prima di essere archiviato.

Il restante 98% dei dati rimane confinato in singole piattaforme digitali che non trasmettono informazioni ad altri software e non possono essere utilizzati da altri medici o per le ricerche.

È ovvio che minore è la condivisione dei dati tra le diverse piattaforme, più difficile risulta per i medici svolgere il proprio lavoro.

Se, ad esempio, ogni medico potesse avere a disposizione, con pochi clic, su un’unica piattaforma, tutte le informazioni rilevanti di un paziente, dati clinici, storici, risultati di esami, diagnosi, trattamenti in corso, allergie e via dicendo, avrebbe la possibilità di compiere una valutazione più accurata e tempestiva delle condizioni della persona che sta visitando, risparmiando tempo e facendolo risparmiare al suo paziente. E riducendo, al tempo stesso, la probabilità di sbagliare diagnosi o cura a causa di un errore umano (ad esempio, pazienti che dimenticano di citare un’allergia, o una patologia ereditaria, o magari un intervento subito in passato in un altro dipartimento o in un’altra struttura sanitaria).

Rischi non solo per medici e pazienti, ma anche per le strutture sanitarie

I rischi derivanti dalla mancanza di integrazione tra le varie soluzioni digitali, tra l’altro, non riguardano solo la pratica medica, ma anche gli aspetti gestionali e l’efficienza generale delle strutture sanitarie.

Un articolo pubblicato (2021) sulla “Rivista di Responsabilità Medica” dal titolo: “Data breach sanitari: il rischio di errore umano è più frequente dell’attacco informatico” presenta una serie di casi in cui, all’interno di una struttura ospedaliera, i risultati di alcuni esami clinici e, in un altro caso, addirittura un’intera cartella sanitaria, sono stati consegnati ai pazienti sbagliati – con ovvi problemi di privacy e complicazioni nelle cure – poiché il sistema di gestione anagrafica non era in alcun modo collegato all’archivio documentale. Gli operatori, dunque, si trovavano obbligati a trascrivere manualmente i dati dei pazienti sulla documentazione clinica!

Sanità digitale: l’integrazione tra strutture sanitarie diverse

La situazione appare ancora più ingarbugliata non appena si allarga il campo e si passa da quanto avviene all’interno di una singola struttura a valutare l’integrazione tra strutture sanitarie diverse.

Attualmente, ogni studio medico, ogni clinica od ospedale può scegliere autonomamente le applicazioni da usare al proprio interno (non esistono regole chiare in materia) e molte di queste applicazioni sono “chiuse”, ossia non accettano dati provenienti da altre piattaforme, perché hanno diversi formati, una diversa organizzazione dei dati o una differente gestione della privacy o della sicurezza.

Il risultato è che, per i pazienti, diventa complesso, ad esempio, cambiare medico o struttura durante un percorso di cura, o nel corso del tempo (ad esempio, a seguito di un trasferimento lavorativo, o per “raggiunti limiti d’età” del precedente professionista che li seguiva).

Il paziente costretto a portarsi appresso ad ogni visita mezzo chilo di carte…

Chiunque di noi abbia consultato un nuovo specialista per la prima volta, soprattutto se all’interno di una struttura che non ha mai frequentato prima, sa che la strategia più semplice per permettere al nuovo dottore di ricostruire la propria storia clinica è portarsi dietro mezzo chilo di carte, radiografie, referti di esami e poi sottoporsi pazientemente a una lunga “intervista” necessaria allo specialista per ricostruire l’anamnesi. Lo stesso specialista, inoltre, dovrà poi spendere altro tempo, prima o dopo la visita, per inserire nel proprio sistema informatico tutti i dati che avrà raccolto, in modo da averli finalmente a disposizione nel successivo percorso di cura. Ripetendo però, in sostanza, quanto già fatto dal medico precedente, in un’altra struttura.

Queste perdite di tempo non creano solo disagi ai pazienti e più lavoro extraclinico per i medici, ma anche stress e rischi di diagnosi sbagliate.

In una ricerca commissionata lo scorso anno dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri (FADOI) su un campione di 2.000 professionisti, oltre il 52% dei medici ospedalieri italiani ha dichiarato di essere in burnout, ossia in uno stato di depressione e ansia permanenti, a causa degli orari e dei carichi di lavoro troppo gravosi, della burocrazia e delle perdite di tempo. Il che, ovviamente, oltre a pregiudicare la qualità della vita dei professionisti, aumenta il rischio di errori e può creare problemi ai pazienti.

Un altro studio, condotto stavolta dalla Johns Hopkins University School of Medicine in America, ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno, nel 36% dei camici bianchi in burnout. Se riportassimo questo dato sul totale dei medici italiani, significherebbe un totale di oltre 20mila errori gravi potenzialmente causati da stati di stress cronico.

Lo European Health Data Space come leva per cogliere i vantaggi della sanità digitale

Da questi pochi esempi risulta evidente che, se vogliamo che il nostro mondo (sanitario) si avvicini di più alla perfezione e che la digitalizzazione della sanità liberi davvero tutto il proprio potenziale, è fondamentale avere piattaforme che possano centralizzare e integrare le informazioni tra le diverse applicazioni. E stabilire una normativa che favorisca e, se possibile, renda obbligatoria, l’interoperabilità tra i dati.

La buona notizia è che, a livello europeo, recentemente, si sono compiuti passi significativi in entrambe queste direzioni. Lo scorso maggio, il Parlamento UE ha approvato in via definitiva il Regolamento sullo spazio europeo dei dati sanitari (EHDS), una serie di norme, regole e prescrizioni che rappresentano il primo passo verso la costituzione di un “Fascicolo Sanitario Europeo” per ogni cittadino della UE. Si tratterà, in pratica, di uno spazio (informatico) a disposizione di ogni cittadino UE, in cui saranno archiviati tutti i dati clinici che lo riguardano o, almeno, quelli che il regolamento definisce “prioritari”, tra cui le ricette, le informazioni sulle terapie e i risultati degli esami di laboratorio (ma ogni Stato membro avrà facoltà di aggiungere altre categorie “primarie”).

A questo fascicolo personale potremo accedere da qualsiasi nazione europea e potremo anche autorizzare l’accesso ai nostri dati a medici di stati UE diversi dal nostro.

Una simile piattaforma condivisa permetterebbe ai medici di avere quella visione integrata e completa di tutte le informazioni rilevanti di un paziente di cui si è detto in precedenza.

Questa visione completa consentirebbe non soltanto una valutazione più accurata e tempestiva delle condizioni del paziente, ma anche di identificare più facilmente pattern o anomalie che potrebbero non risultare evidenti, ora che i dati sono dispersi tra diverse applicazioni. Tutti vantaggi che si tradurrebbero in diagnosi più precise, piani di trattamento personalizzati e in un auspicabile miglioramento degli esiti clinici.

Sarebbe anche un’opportunità unica per aiutare i piccoli studi privati, le cliniche e i poliambulatori a formare un network di assistenza sanitaria efficiente e integrato. Un simile network sarebbe in grado di offrire un livello di cura equivalente, se non superiore, a quello degli ospedali più grandi, anche su patologie molto complesse, che richiedono approcci e trattamenti pluridisciplinari.

In pratica lo EHDS potrebbe diventare lo strumento che “metterà a terra”, davvero, tutti i vantaggi latenti, per ora, del processo di digitalizzazione e innovazione che si sta compiendo in questi anni.

Le piattaforme dovranno evolvere da software stand-alone a soluzioni aperte, integrabili e modulari

Perché questo accada, però, sarà necessario un cambio di visione anche tra gli “addetti ai lavori”.

Serve, infatti, che prima ancora di adattarsi a nuovi standard europei, i produttori di soluzioni digitali per la sanità, accettino l’idea di integrare le loro piattaforme con altre presenti sul mercato, prodotte da terzi, anche senza una prospettiva immediata di profitto.

Ossia, trasformino le loro piattaforme da software stand-alone a soluzioni aperte, integrabili e modulari in grado di scambiare dati e informazioni con l’esterno. Esattamente come è avvenuto e avviene in altri settori, per soluzioni di grande successo come Salesforce o HubSpot, o per gli smartphone con le app.

Tuttavia, questo cambio di visione, da sistema proprietario chiuso a soluzione aperta e integrabile, non è facile da compiere. La tentazione di mantenere l’esclusiva sui dati generati o raccolti e di rifiutare a priori l’idea che altre applicazioni potrebbero semplificare l’operatività della nostra soluzione è istintiva e, quindi, molto forte.

In AlfaDocs (di cui chi scrive è Managing Director & CPO), abbiamo impiegato molto tempo e molte analisi, prima di decidere di fornire all’esterno le API e di mettere a disposizione dei nostri utenti un marketplace di applicazioni di terze parti, integrabili nella nostra piattaforma. Una scelta che poi si è rivelata strategica e che, se adottata da tutti, sarebbe potenzialmente in grado di produrre una svolta decisiva nel mercato. Vincere questa “resistenza” e cambiare ottica è, però, un passo necessario per poter partecipare da protagonisti alla prossima definizione degli standard e delle regole che costituiranno le fondamenta della nuova sanità digitale in Italia e in Europa e concorreranno a creare un sistema sanitario più efficiente, equo e sostenibile per tutti.

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