Nell’ambito della gestione sanitaria, e in particolare dell’Emergency Crisis Management, la trasformazione digitale e l’adozione dell’intelligenza artificiale possono avere un impatto determinante, offrendo strumenti concreti in grado di migliorare le capacità previsionali e organizzative degli enti. Non solo, però, durante la gestione delle emergenze e dei grandi eventi, ma anche e soprattutto nell’ordinaria amministrazione. Questo significa, in uno scenario nazionale in cui spending review e liste d’attesa sono topic all’ordine del giorno, riuscire a comprendere meglio le reali esigenze dei pazienti e predisporre in modo puntuale le risorse a disposizione, allocandole quando servono e – aspetto ancora più importante – se servono davvero.
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Ottimizzare il servizio sanitario: l’impatto potenziale dell’AI per l’Emergency Crisis Management
“Basti pensare a cosa succede al pronto soccorso: le statistiche ci dicono che alla stragrande maggioranza delle persone che si recano in ospedale perché avvertono un dolore al petto non vengono riscontrati, in effetti, problemi che necessitino di una visita specialistica o di un elettrocardiogramma, tanto meno di un ricovero. In effetti, solo una piccola percentuale di chi accusa dolori al petto rischia un infarto. In questo senso, per snellire le liste d’attesa sarebbe sufficiente garantire, anche da remoto, tramite telemedicina, uno screening accurato, che consenta non solo di effettuare diagnosi precise, ma anche di intervenire in tempi rapidi in caso di rischi reali. Oggi l’AI, grazie all’elaborazione del linguaggio naturale e all’analisi in tempo reale dei dati forniti dai pazienti e dai device diagnostici, rende possibile tutto questo, e apre la strada all’introduzione di strumenti che, superando i limiti dell’approccio umano, potranno aiutare il sistema sanitario a lavorare in modo sempre più efficace, oltre che efficiente”.
A parlare è Marco Mazzanti, Chief Medical Officer di Beta 80 e punto di riferimento, a livello internazionale, nell’ambito dell’intelligenza artificiale applicata alla cardiologia. Non è un caso che l’esempio di Mazzanti verta sui dolori toracici come possibili indizi di patologie cardiache: “La supervisione di clinici specializzati è essenziale nell’addestramento e nella gestione di questi strumenti, in quanto consente di eliminare per ciascuna disciplina medica le allucinazioni generate dagli algoritmi. Oltre a raccogliere dati e immagini attraverso le interfacce costruite su Large Language Model strutturati, è fondamentale risottoporre ai clinici i record delle interazioni occorse per capire se l’output proposto dall’AI è corretto, intervenendo poi per migliorare costantemente i prompt che vengono somministrati agli utenti. Si tratta di un grande lavoro”, ammette Mazzanti, “ma è l’unico modo che abbiamo per aumentare l’accuratezza delle diagnosi nelle diverse specialità mediche”.
Dall’Emergency Crisis Management all’ospedale virtuale
Si punta a dare vita ad agenti conversazionali che sfruttino avatar umanoidi per riprodurre in modo realistico un rapporto medico-paziente che risulti non solo efficace ai fini dell’individuazione di eventuali problemi, ma anche, in un certo senso, empatico. “Dall’Emergency Crisis Management al consulto terapeutico, bisogna portare l’esperienza virtuale su un altro livello: quando una persona, invece di rapportarsi a una scatola nera, ha la possibilità di vedere il volto di un essere umano e di sentirne la voce è molto più disposta a fruire di un servizio digitale”, dice Mazzanti, che spiega come soluzioni del genere siano già state presentate in occasione dell’ultimo G7 Salute, di scena ad Ancona a inizio ottobre.
Allargando la prospettiva, l’ambizione è quella di creare veri e propri ospedali virtuali, all’interno dei quali far confluire dati – strutturati e non – per mettere a filiera grandi volumi di input utili ad arricchire i casi d’uso della medicina di precisione, da remoto e on site.
“Non parliamo di una semplice estensione del concetto di telemedicina, ma di una gestione più efficiente delle risorse mediche, attraverso piattaforme integrate che consentano una rapida condivisione di informazioni strategiche tra tutte le entità coinvolte”, spiega Mazzanti, facendo riferimento ai modelli già implementati nell’ambito dell’Emergency Crisis Management. L’ospedale virtuale si innesta dunque su data platform che garantiscono che il servizio offerto al cittadino sia il più accurato ed efficace possibile, e si sostanzia in una struttura delocalizzata, senza posti letto, in grado di raggiungere il paziente, ovunque egli sia: a casa, al lavoro o addirittura in movimento.
“Pensiamo a cosa si sarebbe potuto fare, con uno strumento del genere, durante l’esperienza pandemica. Mettendo l’analisi in tempo reale dei dati al centro di strategie di prevenzione e gestione di nuovi focolai, avremmo ottenuto diagnosi precoci, orchestrando in modo ottimale tutti gli attori della filiera di intervento: dalle unità della protezione civile ai professionisti dotati di competenze specialistiche e strumenti adatti ad agire in mobilità o all’interno di ospedali da campo o virtuali”, continua Mazzanti.
In altre parole, usato su larga scala, uno strumento come quello sviluppato da Beta 80 per la diagnosi precoce del dolore toracico consentirebbe di massimizzare il servizio offerto al cittadino e allo stesso tempo di efficientare il sistema sanitario nazionale, che potrebbe dedicare le sue risorse – limitate ma altamente qualificate – alle persone che ne hanno reale bisogno. Un approccio che risulterebbe particolarmente rilevante nel momento in cui il sistema fosse sotto stress, a causa di una maxi-emergenza come un terremoto, o durante un evento come il Giubileo.
Un approccio trasversale alla trasformazione: il tema delle competenze
“Il salto di qualità”, continua il Chief Medical Officer di Beta 80, “consiste nel passare da un approccio one-to-one al modello one-to-many abilitato dall’AI. Specialmente in ambito sanitario, l’intelligenza artificiale, opportunamente implementata, ci permette di disintermediare quello che oggi è il rapporto tra paziente e medico specialistico, intorno al quale ruotano ancora attori – come infermieri e medici generali – che potrebbero occuparsi di attività a maggior valore, a tutto vantaggio dell’efficienza di un sistema che, purtroppo ne siamo ben consci, deve far fronte a una grave scarsità di risorse”.
Ma Mazzanti tiene a chiarire che la tecnologia non è e non va considerata come una risposta ai continui tagli al servizio pubblico: “L’obiettivo non è quello di generare risparmi, con un conseguente depauperamento del servizio sanitario, semmai è l’esatto contrario: puntiamo al miglioramento dei servizi erogati, lasciando che l’AI risponda non tanto in assenza dell’essere umano, quanto nel momento in cui l’essere umano non costituisce la risposta più corretta alla gestione di una possibile emergenza”.
È evidente che per trasformare in realtà una visione del genere occorrono non solo strumenti di nuova generazione, ma anche competenze all’avanguardia. Le professionalità del settore sanitario vanno inoltre coinvolte per ipotizzare, progettare e verificare i vari use case, da una parte aggiornando di conseguenza conoscenze e skill, dall’altra riorganizzando i ruoli di infermieri, medici, tecnologici e profili sanitari esperti di dati in funzione di servizi flessibili da erogare a distanza. Il tutto, del resto, dovrebbe essere orchestrato da team multidisciplinari e integrati.
“Si stanno aprendo nuove opportunità di crescita, ma serve coraggio, anche per colmare gap di formazione della nostra classe professionale”, ammette Mazzanti.
Ma come bisognerà muoversi sul piano dell’evoluzione tecnologica all’interno delle strutture? Beta 80 suggerisce un approccio trasversale che, pur non configurandosi come un modello big bang vero e proprio, punti a implementare il concetto di ospedale virtuale in senso esteso, a partire da casi d’uso specifici che implichino il maggior coinvolgimento di risorse e dati possibili. “Alcuni fattori di sviluppo sono imprescindibilmente verticali, ma non dobbiamo dimenticare che gli strumenti da adottare a livello della gestione del dato, a partire dal fascicolo sanitario elettronico e dalle cartelle cliniche digitali, non possono che essere condivisi”, conferma Mazzanti.
Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Beta 80