Conversational AI

AMIE: l’Intelligenza Artificiale in Medicina di Google che sa dialogare (con i pazienti)

Il mantra “la macchina non sostituirà il medico, ma il medico che saprà utilizzare la macchina sostituirà chi non saprà farlo” pare scontrarsi con lo studio su AMIE, in cui l’AI sembra la migliore opzione anche nelle qualità più tipicamente umane dei clinici. Eppure, una lettura più attenta svela come, nel mondo reale, l’AI in Medicina presenti diverse criticità, limiti e sfide ancora tutte da superare

Pubblicato il 04 Mar 2024

Gabriele Traviglia

Medico Chirurgo

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L’essenza dell’arte medica è il dialogo con il paziente. La capacità di ascoltare, di porre le domande giuste e di costruire un rapporto di fiducia con il paziente, guidandolo nelle scelte riguardanti la sua salute, sono competenze indispensabili per un buon clinico.

Tuttavia, la mancanza di tempo, la stanchezza e il contesto possono influenzare la capacità del medico di comunicare in modo efficace.
Inoltre, non tutti i medici hanno le stesse doti comunicative e ciò può compromettere l’esatta comprensione della diagnosi e l’efficacia del trattamento.

L’Intelligenza Artificiale in Medicina di Google è empatica

Le sfide che un sistema di intelligenza artificiale deve affrontare per emulare le competenze di un medico sono simili a quelle che deve superare un giovane studente di Medicina all’inizio della propria formazione: raccolta e strutturazione anamnestica, accuratezza diagnostica, capacità di programmare un piano diagnostico e terapeutico coerente e, soprattutto, contestualizzato.

Per superare queste sfide, gli ingegneri di Google hanno sviluppato AMIE (Articulate Medical Intelligence Explorer), un’intelligenza artificiale in medicina di Google basata su un Large Language Model, ottimizzata per il ragionamento diagnostico e la conversazione empatica con il paziente.

Come (e con quali criteri) è stata addestrata l’Intelligenza Artificiale in Medicina di Google

Per addestrare AMIE a comportarsi come un medico, gli sviluppatori della “nuova” intelligenza artificiale in medicina di Google hanno inizialmente utilizzato un gran numero di datasets. Questi includevano:

  • domande a risposta multipla
  • referti medici
  • annotazioni cliniche
  • registrazioni di conversazioni reali tra medici e pazienti.

È stato quindi creato un ambiente virtuale in cui tre “agenti”, interpretati da AMIE, interagivano tra di loro: un paziente, un medico e un moderatore.

Il paziente descriveva i suoi segni e sintomi iniziali al medico, il quale a sua volta formulava delle domande allo scopo di trovare una diagnosi plausibile, mentre il moderatore valutava il dialogo per identificare il raggiungimento di una conclusione.

Al termine di ogni interazione, un quarto agente – identificato come “giudice” – valutava la qualità delle risposte del medico e forniva un feedback utile al miglioramento delle sue competenze. Questi suggerimenti venivano quindi incorporati dal sistema in modo che il medico divenisse più capace e quindi “esperto” ad ogni nuovo colloquio.

I criteri di valutazione del giudice enfatizzavano:

  • l’empatia
  • la professionalità, la precisione e la rilevanza delle domande
  • l’identificazione di diagnosi differenziali pertinenti
  • le proposte terapeutiche adeguate.

Tutte caratteristiche essenziali per un medico.

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Panoramica delle componenti del sistema AMIE (fonte: ArXiv)

AMIE in corsia: dottor Google a confronto con i veri medici

Per testare le capacità di AMIE in scenari clinici realistici, i ricercatori hanno adottato l’approccio dell’OSCE (Objective Structured Clinical Examination), un tipo di esame in cui vengono simulati dei casi clinici con degli attori che interpretano il ruolo di pazienti e che vengono visitati dagli studenti di Medicina.

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AMIE – La simulazione dei casi clinici mediante OCSE (fonte: ArXiv)

Sono stati arruolati 20 attori che hanno interpretato il ruolo di pazienti e che hanno interagito, in cieco e – quindi – senza conoscere l’entità dell’interlocutore, con un medico reale o virtuale (AMIE), attraverso 149 consulti online basati su messaggi di testo.
Al termine di ogni interazione, i pazienti hanno valutato la qualità del loro interlocutore.

AMIE è stata considerata superiore ad un medico reale in 24 su 26 criteri di valutazione, tra cui:

  • gentilezza
  • empatia
  • capacità di ascolto
  • qualità delle domande cliniche
  • capacità di spiegare la patologia
  • capacità di proporre una terapia.

Inoltre, alcuni medici specialisti hanno supervisionato, sempre in cieco, i dialoghi.
I medici specialisti hanno valutato AMIE superiore in 28 su 32 criteri, tra cui:

  • la capacità di raccogliere informazioni anamnestiche appropriate
  • la completezza delle informazioni
  • la revisione dei sistemi
  • la diagnosi differenziale
  • la capacità di rispondere adeguatamente alle preoccupazioni dei pazienti.

Infine, l’accuratezza diagnostica di AMIE è risultata di circa il 10% superiore rispetto a quella dei clinici umani.

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L’accuratezza diagnostica di AIME (fonte: ArXiv)

Limiti e implicazioni dell’Intelligenza Artificiale in Medicina di Google

Il mantra “la macchina non sostituirà il medico, ma il medico che saprà utilizzare la macchina sostituirà chi non saprà farlo” pare scontrarsi con lo studio su AMIE, che suggerisce una realtà diversa, in cui la macchina si configura come la migliore opzione disponibile anche nelle qualità più tipicamente umane dei clinici.

Eppure, una lettura più attenta svela come, nel mondo reale, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in Medicina (di Google e non solo) presenti diverse criticità.

Riguardo, infatti, ai risultati sorprendenti dello studio, bisogna tenere conto del fatto che l’interazione si è svolta in un ambiente virtuale, non rappresentativo del contesto reale in cui opera un medico. Inoltre, la lunghezza delle risposte di AMIE potrebbe aver influenzato la percezione di empatia e chiarezza da parte dei pazienti e dei valutatori.

La macchina, inoltre, è influenzata dai dati su cui viene allenata, amplificando potenziali pregiudizi presenti nella società, come riscontrato in diversi studi.

Per poter essere efficace, l’algoritmo necessita di un continuo aggiornamento con dati scientificamente corretti, un processo complesso, costoso e basato sulla volontà di ospedali e centri di ricerca di voler condividere liberamente i propri dati e i risultati dei propri studi.

Fino a quando non verrà pensato un criterio di rimborsabilità equo, l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale in medicina potrebbe limitarsi a contesti privati e creare disparità di accesso alle cure, privilegiando le fasce di popolazione più abbienti.

AI e sostenibilità: il vero limite è la Terra

L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale è una questione cruciale, spesso trascurata nel dibattito pubblico.
La Terra, con le sue risorse finite, potrebbe rappresentare il vero limite all’espansione dell’AI.

Ogni interazione con un modello di intelligenza artificiale basato su un Large Language Model comporta un consumo di energia e risorse.
Si stima che 10 – 50 domande a ChatGPT equivalgano al consumo di una bottiglietta d’acqua da mezzo litro.

Il numero di server necessari per gestire miliardi di interazioni simultanee in tutto il mondo sarebbe enorme, con un consumo energetico attualmente insostenibile.
Si stima che, nel 2026, i data center consumeranno un totale di più di 1000 terawatt-ora (TWh), più del doppio rispetto al 2022 ed equivalente al consumo di un’intera nazione come il Giappone.

L’AI di Google un alleato in corsia: il camice non va appeso al chiodo

Se l’avvento di sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale in Medicina di Google come AMIE portasse a un crescente scetticismo nei confronti dell’utilità dei medici, le conseguenze potrebbero essere gravi.

La carenza di personale, già esistente in molte realtà, si aggraverebbe, con un ulteriore impoverimento del sistema sanitario che non potrà essere compensato da un sistema di algoritmi.
Inoltre, la perdita di interesse per la professione causerebbe un ulteriore calo dell’empatia e dell’ascolto.

Invece di sostituire i medici, AMIE ha già un enorme potenziale come alleato in corsia, fungendo da mentore per affinare le competenze comunicative dei clinici, tenerli al corrente delle malattie meno comuni e assistendoli nelle scelte diagnostiche e terapeutiche.

Pensarlo come uno strumento sembra, ancora oggi, la scelta più giusta.

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