Viviamo nell’era della specializzazione in cui la complessità e la specificità di ogni ambito professionale portano a focalizzarsi soltanto sul proprio settore, perdendo di vista l’insieme delle cose.
È quanto sta accadendo sulla digitalizzazione della sanità che è parte integrante della Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ma perché temere una tempesta perfetta in quella che è unanimemente considerata una grande opportunità di modernizzazione per le aziende sanitarie e di business per i fornitori del settore? Partiamo dai numeri.
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PNRR e sanità digitale : le forze in campo
Le sole gare di sanità digitale di Consip (la prima, aggiudicata, la seconda in corso, la terza in uscita) valgono 1,5 miliardi di euro di servizi professionali.
A tariffe standard di aggiudicazione sono circa 5 milioni di giornate uomo da erogarsi in 3 anni che si traducono in più di 8.000 professionisti l’anno a tempo pieno tra esperti di dominio, progettisti, analisti, sviluppatori, sistemisti, consulenti e così via. Senza considerare le altre gare Consip o regionali che possono essere utilizzate dai committenti per l’erogazione dei servizi.
I raggruppamenti che si sono aggiudicate le gare non possiedono un numero così elevato di collaboratori per far fronte a tutte le richieste. Anche ipotizzando l’uso di sub-appalto, magari alle altre aziende che non hanno vinto le gare, è davvero difficile raggiungere i numeri ipotizzati.
Dove allora trovare le risorse umane necessarie?
Il problema è davvero di difficile soluzione. Il mondo dell’IT era, già prima del PNRR, in carenza strutturale di tecnici. L’accelerazione indotta dal PNRR rischia di accentuare questo fenomeno e di ridurre le potenzialità di mercato.
C’è poi da osservare che le soluzioni software che i fornitori producono sono, salvo poche eccezioni, poco industrializzate o, potremmo dire, artigianali nel loro sviluppo. Un aspetto che pregiudica la scalabilità delle risorse anche quando queste fossero disponibili.
Un altro limite delle aziende italiane è poi la poca dimestichezza con l’Inglese non soltanto dei tecnici ma, persino, della loro classe dirigente. Questa carenza rende molto difficile il ricorso a tecnici e sviluppatori di altri Paesi che non parlano italiano ma inglese.
Chi progetta e governa la transizione digitale?
Se l’offerta ha i suoi problemi, la situazione lato domanda non è migliore.
Anche in questo caso, c’è una carenza enorme di professionisti.
L’evoluzione delle tecnologie digitali apre nuovi scenari per la tutela e la cura della salute, consentendo lo sviluppo di nuovi modelli e la rivisitazione dei processi clinici e assistenziali attuali. Questo fenomeno – che è definito come “transizione digitale” – non deve limitarsi a una mera innovazione tecnologica, ma deve essere finalizzato a un’innovazione capace di generare valore per i pazienti, i professionisti, il sistema sanitario.
Affinché ciò avvenga, è indispensabile che la transizione digitale non sia concepita dai soli tecnologi ma sia progettata e governata dai professionisti che operano nel sistema sanitario, in funzione delle responsabilità che questi hanno, con l’avvalimento dei tecnologi.
Come raggiungere l’obiettivo
Per rendere possibile questo approccio è però indispensabile che i professionisti sanitari siano consapevoli delle potenzialità che le tecnologie digitali possiedono per comprendere come applicarle e utilizzarle per generare valore concreto per la Sanità.
L’obiettivo non deve essere eliminare la carta (dematerializzazione) né svolgere a distanza attività che si svolgono in presenza, bensì perseguire, attraverso la digitalizzazione:
- l’aumento dell’efficienza, ossia fare di più a parità di risorse
- l’incremento dell’efficacia (qualità), ossia ottenere risultati migliori in termini clinici e assistenziali, anche evitando gli errori e gestendo il rischio clinico
- la riduzione della spesa attraverso l’incremento dell’appropriatezza o l’ottimizzazione della logistica.
Per rendere possibile tutto ciò, sarebbe necessario un percorso formativo di “empowerment digitale” per consentire ai professionisti sanitari di ridurre il gap conoscitivo che hanno nei confronti degli aspetti tecnologici in modo da consentire loro di ragionare su come utilizzare le tecnologie digitali per rivedere, in chiave migliorativa, i processi clinici e assistenziali attuali e progettare nuovi modelli clinici digitali.
Innovazione: la tentazione di governarla dall’alto
A fronte delle difficoltà delle regioni e aziende sanitarie nel concepire e governare l’innovazione, si è deciso di centralizzare questi processi anche per ottenere una maggiore uniformità di risultati e per riuscire a investire tutti i fondi disponibili nei tempi previsti dal PNRR.
Un esempio è il progetto del nuovo Fascicolo Sanitario Elettronico che un gruppo di lavoro ristretto ha concepito, anche con l’apporto di tecnici regionali, per realizzare una nuova infrastruttura per la creazione di un ecosistema di servizi digitali basata su HL7 FHIR.
Il nuovo Fascicolo Sanitario Elettronico
Il Fascicolo Sanitario Elettronico si sdoppierà in due. Alla struttura federata su base regionale per la gestione dei documenti, in formato standard HL7 CDA2, si aggiungerà una nuova infrastruttura basata sullo standard FHIR per memorizzare i dati clinici acquisiti direttamente dai sistemi aziendali che li producono.
Le componenti principali sono 3:
1. Un Data Repository Centrale (a cui potranno essere associati dei repository dati regionali) che attraverso API renderà disponibili dei servizi sia per i professionisti sanitari e le strutture sanitarie per la prevenzione e la cura, sia per la prevenzione e la sorveglianza epidemiologica per le direzioni sanitarie regionali e il Ministero della Salute (in formato anonimo)
2. Un gateway collocato nelle reti delle aziende sanitarie per la validazione e l’alimentazione del Data Repository Centrale
3. Un Registry Nazionale per memorizzare gli indici dei fascicoli sanitari elettronici regionali per rendere più efficace l’interoperabilità a livello nazionale.
L’approccio top-down può andare bene per progettare e governare infrastrutture tecnologiche di sanità digitale ma non risolve il problema a monte, ossia nelle regioni e nelle aziende sanitarie. È qui che l’innovazione tecnologica deve essere utilizzata per creare valore ed è a questo livello che ci sono le maggiori complessità.
Non basta realizzare un’infrastruttura per raccogliere dati digitali nativi, servono dei sistemi informativi che siano in grado di generarli che, di nuovo, non è un problema tecnologico ma professionale.
Per realizzare una transizione digitale bisogna cambiare il modo con cui medici e infermieri svolgono il loro lavoro, progettare insieme a costoro una nuova generazione di sistemi clinici che, grazie alla digitalizzazione, producano valore immediato e concreto per i professionisti sanitari.
Il dato digitale non può essere un impegno per costoro senza alcun ritorno in termini di benefici.
PNRR e sanità digitale: nuovi sistemi, vecchie funzioni?
Il rischio, molto concreto, è impiegare una parte consistente di finanziamenti per rifare, magari, gli stessi sistemi attuali ma con nuove tecnologie.
L’informatica, come sappiamo bene, è dominata dalle mode tecnologiche. Ogni tre-quattro anni ne arrivano di nuove e diventano l’obiettivo per il quale rifare le infrastrutture e le applicazioni che vi funzionano, senza però apportare benefici tangibili per gli utenti.
Un esempio per tutti è oggi rappresentato dal cloud, il Sacro Graal dell’IT odierno.
Ci sono tanti investimenti per migrare le applicazioni attuali in data center regionali/nazionali, riuscendo però a ottenere molti benefici in meno di quelli possibili a causa delle architetture delle soluzioni in uso. Anche quando si decide di rifarle, si parte però dal dominio funzionale attuale, perdendo così l’occasione di ripensare e riprogettare i processi clinici e amministrativi alla luce di ciò che sarebbe possibile ottenere se si pensasse in modo “digitale” anziché “analogico”.
PNRR e sanità digitale: la tempesta in arrivo
A tutto ciò si associa poi il vizio atavico della PA di non coinvolgere gli utenti che, insieme alla debolezza cronica dei suoi dirigenti, rende la domanda molto debole e poco efficace.
L’offerta, a sua volta, manca di reale capacità di innovazione di valore perché non conosce nel profondo i processi clinici e amministrativi e non possiede al proprio interno queste figure professionali.
La carenza poi di risorse tecniche aumenta l’inefficienza dell’offerta a fronte della forte accelerazione dettata dal PNRR e dai tempi ristretti.
Il rischio, molto concreto, è di “imballare” il motore, fenomeno che si verifica quando si aumentano i giri del motore e non si riesce a cambiare marcia.
Presi, però, dalla necessità del fare, non c’è tempo né voglia di riflettere su questi temi, eppure la tempesta si avvicina.