L’eterogeneità dei sistemi robotici è caratterizzata da un continuo arricchimento di soluzioni che possono stabilire molteplici tipi di interazioni con gli esseri umani, inclusa la possibilità di indossare un dispositivo quale un’ortesi attiva: un esoscheletro, tipico esempio della classe di sistemi di “wearable robotics”.
Considerando la necessità di una perfetta sintesi tra utente ed esoscheletro in un sistema uomo-macchina centrato sulla persona, gli esoscheletri possono opportunamente esser progettati affinché siano percepiti come “vestiti potenti ed intelligenti” nelle loro diverse applicazioni, sia occupazionali che cliniche. Di queste ultime tratterà il presente approfondimento, introducendo, mediante esempi, alcuni argomenti relativi alla ricerca in ambito di esoscheletri assistivi e riabilitativi: dispositivi medici il cui sviluppo richiede attività al confine tra robotica, bioingegneria, neuroscienze ed ergonomia per rispondere alle esigenze di utenti con difficoltà motorie.
Indice degli argomenti
“Vestire” un robot
L’Italia offre esempi eccellenti di dispositivi esoscheletrici con applicazioni biomediche, a partire da quanto sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) nel contesto del laboratorio congiunto INAIL-IIT dedicato a tecnologie capaci di ripristinare abilità, in particolare a livello motorio: il Rehab Technologies Lab guidato da Lorenzo De Michieli.
Questo laboratorio offre diversi esempi di robotica indossabile (categoria che, in senso lato, può includere anche le protesi bioniche non invasive d’arto) a livello di esoscheletri assistivi e riabilitativi: ortesi meccatroniche capaci di assistere e guidare (e anche perturbare durante esercizi specifici) i movimenti degli arti e i cambiamenti di postura di una persona.
Mentre in ambito occupazionale gli esoscheletri sono principalmente utilizzati per aiutare il lavoratore e metterlo in sicurezza (prevenendo svariate problematiche di salute), i dispositivi robotici indossabili sono utili in ambito biomedico per assistere nella vita quotidiana o (ove possibile) riabilitare le capacità motorie di un paziente in seguito a compromissioni a diversi livelli di gravità (da quelle dovute ad un trauma al sistema muscoloscheletrico a quelle derivanti da lesioni e condizioni degenerative del sistema nervoso).
In collaborazione con partner come INAIL – con l’aiuto del team di Emanuele Gruppioni al Centro Protesi di Vigorso di Budrio – e del team di Elisa Taglione del Centro di Riabilitazione Motoria di Volterra – Rehab Technologies Lab lavora a soluzioni come Twin – progettato per l’assistenza e la riabilitazione del cammino – e Float, dedicato alla riabilitazione dell’arto superiore a partire da esercizi per la spalla.
Esoscheletri riabilitativi: il dispositivo robotico Float
Float è stato presentato di recente, insieme alle sue peculiarità descritte a livello tecnico-scientifico, anche in un articolo pubblicato su MDPI a marzo 2022. Esso è stato realizzato come dispositivo medico centrato su due utenti:
- il paziente sottoposto agli esercizi riabilitativi
- il terapista che imposta l’attività del sistema
Collaborando con entrambi, il sistema riesce a fornire assistenza in esercizi riabilitativi variegati senza annoiare i pazienti mentre ne monitora parametri biomeccanici relativi ai loro progressi. Questa diventa la base per stimolare i pazienti con protocolli terapeutici personalizzati, rendendo più efficiente il recupero funzionale lungo un percorso solitamente lungo ed impegnativo. Considerando standard internazionali come IEC 62366 in relazione all’usabilità dei dispositivi medici e metodologie innovative di valutazione e progettazione, il dispositivo è stato ideato e perfezionato anche per fornire funzionalità necessarie alla terapia occupazionale, assistendo movimenti sia dell’arto superiore sia dell’intero corpo del paziente in attività come abbassarsi per afferrare un oggetto per poi rialzarsi e spostarlo. Tale impostazione permette di passare rapidamente da esercizi di recupero in specifici distretti articolari allo svolgimento di attività più vicine a quelle della vita, che richiedono il coinvolgimento di tutto il corpo.
Float, dispositivo robotico per l’arto superiore ed in particolare per la spalla che permette di migliorare l’efficacia e l’efficienza del processo riabilitativo (fonte: Rehab Technologies Lab, Istituto Italiano di Tecnologia)
In generale, l’aiuto fornito da Float deriva dalla precisione e dall’accuratezza dei movimenti del dispositivo insieme alla capacità di quest’ultimo di eseguire in modo intelligente ed instancabile procedure impostate dal clinico, interpretando le condizioni del paziente a partire dai dati raccolti (in questo caso a livello motorio, ma la ricerca si muove anche verso l’analisi di segnali fisiologici). Si tratta, quindi, di un sistema progettato per andar ben oltre la semplice “vestibilità”, che deve comunque rimanere un obiettivo per aumentare l’accettabilità di tali soluzioni, i cui ingombri possono generare un certo grado di disagio nella persona a livello di stigma sociale. Questo avviene ovviamente meno in caso si parli di applicazioni riabilitative, più in caso dei dispositivi assistivi, progettati per l’uso quotidiano. Nella vita di tutti i giorni, infatti, qualcuno potrebbe aver difficoltà ad accettare di vestire una specie di “armatura robotica”: non sarebbe meglio una tuta, in questo caso?
Tute robotiche bioispirate
In IIT è attivo anche un laboratorio specificamente dedicato ad esoscheletri sia occupazionali che clinici: XoLab, guidato da Jesus Ortiz entro la linea di ricerca Advanced Robotics.
Uno dei risultati più promettenti di XoLab è sicuramente XoSoft, nato a partire dall’omonimo progetto europeo. Possiamo vedere XoSoft come un “tuta robotica” per gli arti inferiori, una “exosuit” più che un esoscheletro tradizionale (tipicamente composto da elementi rigidi), grazie alla sua struttura in tessuto, leggera e flessibile, controllata mediante un sistema pneumatico che rende possibile un’adeguata assistenza della deambulazione per persone con disabilità da lievi a moderate alle gambe, come nel caso delle conseguenze di polineuropatie diabetiche e condizioni di fragilità connesse alla senescenza.
Un sistema del genere è quindi utile principalmente a scopo assistivo più che riabilitativo.
La ricerca sui materiali e sulle strutture bioispirate – condotta dal gruppo di Barbara Mazzolai, a capo della linea Bioinspired Soft Robotics di IIT – è uno dei punti di forza da cui derivano le particolarità di XoSoft, basandosi sull’imitazione di proprietà di sistemi naturali per massimizzare la compatibilità con la persona.
Altra peculiarità di XoSoft è la sua modularità, un altro punto a favore della sua adattabilità alle esigenze di diverse categorie di utenti.
Exotute al centro della wearable robotics
L’ambito delle “exotute” assistive è decisamente una delle direzioni maggiormente promettenti nel campo della wearable robotics, unendo ricerche all’avanguardia sui materiali insieme a quelle su attuazione e controllo.
Altri esempi di tali sistemi sono offerti da ARIES Lab, il gruppo guidato da Lorenzo Masia all’Università di Heidelberg. Lo scopo principale di questo laboratorio è ideare, progettare e sviluppare tecnologie indossabili (basate su raffinati modelli corporei e motori) in grado di supportare gli esseri umani in molteplici scenari applicativi, tra i quali quelli della riabilitazione e dell’assistenza personalizzata.
ARIES Lab, ad esempio, ha progettato una exosuit per fornire assistenza a livello del gomito mediante cinghie e imbracature che rispondono alla necessità di avvicinarsi quanto più possibile ad un vero e proprio “vestito robotico” da utilizzare quotidianamente.
In generale, le exosuit forniscono assistenza in modo compatibile con le esigenze della persona secondo principi di “vestibilità intelligente” e costituiscono risposte a necessità sempre più pressanti della popolazione (soprattutto in relazione a problematiche legate all’invecchiamento) in ambito healthcare, mentre cercano di divenire sempre più accettabili in virtù della loro utilità, della loro usabilità e della loro integrazione con la persona.
In risposta a bisogni crescenti, le capacità dei sistemi di wearable robotics – che si tratti di esoscheletri in generale o di exosuit in particolare – vengono sviluppate mediante progetti di ricerca ogni anno sempre più sfidanti nell’indagine sia dell’essere umano sia delle soluzioni tecnologiche che possono rendere la sua vita più semplice, cercando di abbattere anche le eventuali barriere all’uso di dispositivi avanzati (dal prezzo dei macchinari in questione alla loro accettazione da parte dei clinici e dei pazienti).
Robotica indossabile: prospettive e futuro della Ricerca
La ricerca e lo sviluppo in ambito robotica indossabile mira tutt’oggi a risolvere, ad esempio, problematiche a cavallo tra l’ergonomia fisica e quella cognitiva, come nel caso della necessità di fornire assistenza motoria ad una persona senza gravare su di essa a livello mentale: gli esoscheletri devono essere utilizzati spontaneamente, con il minimo impegno di risorse attentive, come se fossero “trasparenti” rispetto alla nostra esperienza del mondo, senza che la persona sia troppo concentrata sul loro uso.
L’impegno scientifico che ne deriva – simile a quello a cui si punta nella promozione dell’embodiment (la sensazione di incorporazione) delle protesi – richiede indagini che si basano sulle sinergie metodologiche tra ricerca tecnologica e neuroscientifica, lì dove discipline come l’ergonomia cognitiva e la neuroergonomia possono portare ad un vero e proprio salto in avanti nello user-centered design di sistemi esoscheletrici.
Questo può avvenire, ad esempio, raccogliendo ed elaborando dati sia motori che fisiologici al fine di migliorare il controllo di un macchinario assistivo o riabilitativo (particolarmente importante è il riconoscimento delle intenzioni dell’utente di un esoscheletro) e di potenziare processi diagnostici e prognostici, come suggerito in Neuro-Gerontechnologies: Applications and Opportunities (recente capitolo di un libro del quale chi scrive è coautore, ndr.) che evidenzia come i biomarker derivanti dall’utilizzo di sistemi interattivi si possano incastonare nell’ambito della Digital Health, posizionando gli esoscheletri in un ecosistema nel quale i dati fluiscono per rendere ogni intervento sempre più personalizzato e ogni predizione sulle condizioni della persona e sull’esito dei trattamenti sempre più precisa, fornendo un ulteriore strumento capace di rendere più efficiente e sostenibile il sistema sanitario.
Considerando, poi, il ruolo degli esoscheletri in contesti di Connected Health ove sia stretta la sinergia con sistemi come quelli di Internet of Things, diventano evidenti le potenzialità del loro utilizzo da parte di persone con condizioni croniche, specialmente anziani – come analizzato in dettaglio in un altro capitolo del succitato libro.
Dispositivi robotici indossabili: l’Italia è all’avanguardia
Il percorso per giungere a risultati come questi – o altri di pari o maggiore livello di sfida tecnologica – richiede comunque uno sforzo congiunto di enti di ricerca e partner sia clinici che industriali.
Per fortuna, le istituzioni italiane si fanno parte attiva in questo processo.
Come già evidenziato in relazione al Rehab Technologies Lab di IIT, le ricerche in ambito di dispositivi robotici indossabili in Italia sono all’avanguardia grazie ad INAIL che collabora anche con unità come il Wearable Robotics Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, guidato da Nicola Vitiello e Simona Crea e il CREO Lab, dedicato a soluzioni di robotica avanzata e tecnologie centrate sulla persona e guidato da Loredana Zollo all’Università Campus Bio-Medico di Roma. Con il supporto del Centro Protesi INAIL, questi due team lavorano attualmente al progetto BioARM, teso allo sviluppo di una nuova ortesi attiva portatile che assista gli arti superiori di pazienti affetti da lesioni del plesso brachiale (causate spesso da incidenti stradali). Il progetto, al fine di arricchire l’esperienza dell’utente anche di stimolazioni che promuovano l’integrazione uomo-tecnologia, è un esempio eccellente di sinergia tra ricerche in discipline che, convergendo nell’ambito della biorobotica, riescono a fornire un impatto reale e centrato sulla persona nella vita di tutti i giorni.
Un processo centrato sull’essere umano
Questi ed altri esempi mostrano come le attività di ricerca in wearable robotics possano fornire contributi di sicuro impatto nella società in cui viviamo, a partire dal potenziamento di procedure riabilitative e dall’assistenza dei movimenti della persona in contesti reali, al di fuori dei laboratori.
Tali funzionalità devono però essere frutto di un processo centrato sull’essere umano affinché il sistema diventi accettabile nel suo utilizzo, sia come macchinario assistivo nel quotidiano sia come dispositivo riabilitativo che funga da ausilio all’attività (insostituibile) del terapista, in modo che sia legittimo chiedere ad una persona di indossare un robot per ripristinare le proprie abilità.