Non v’è dubbio che quello che ci siamo appena lasciati alle spalle sia stato l’anno dell’Intelligenza Artificiale. Anche in Sanità. Dove ci siamo chiesti se ChatGPT potesse davvero fare il Medico (domanda provocatoria alla quale, ovviamente, abbiamo risposto NO) e – più in generale – in che modo l’AI Generativa e i LLM potessero venire incontro alle esigenze di tipo diagnostico e clinico e quali le barriere da superare.
Se il 2023 ha posto le domande, dal 2024 ci si attendono le risposte. E anche gli investimenti.
Complice, infatti, un po’ d’ordine che il legislatore – si pensi, ad esempio, al Decalogo del Garante Privacy – sta provando a fare in quest’ambito molto delicato, cresce l’interesse ad investire sull’AI da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere, con la naturale conseguenza di una crescita d’interesse anche da parte delle aziende che producono dispositivi medici hardware e software basati sull’AI. Queste ultime sempre più alla ricerca del giusto modello di business per l’AI in Sanità.
Al di là di settori d’investimento in qualche modo già consolidati ed ereditati dagli anni precedenti – tra i quali Cybersecurity, CCE e FSE, Infrastrutture di Rete e Telemedicina, tra gli altri possibili trend emergenti per il 2024, nel nostro Paese un ruolo importante potrebbero iniziare ad averlo, finalmente, le Terapie Digitali.
Ambito – quello delle DTx – in cui la prima delle novità è che tali argomenti sono entrati recentemente nell’agenda politica e diversi parlamentari hanno iniziato ad affrontarli in maniera più decisa rispetto al passato.
L’altra è che forse vedremo presto, finalmente, anche nel nostro Paese, l’affermarsi delle prime terapie digitali. Tra queste, ad esempio, potrebbe esserci NyxDigital, un progetto dell’Università di Verona nato “con l’obiettivo di offrire ai pazienti la prima terapia digitale italiana per l’insonnia cronica entro il 2027” e il cui inizio sperimentazione clinica è previsto proprio nel 2024.
Oppure Liberness, dell’azienda italiana Theras: attualmente in fase di studio clinico – aspira ad essere la prima terapia digitale per l’obesità ad arrivare sul mercato in Italia.
AI (Generativa e non), Terapie Digitali – dunque – e poi le più “usuali” Cybersecurity, CCE e FSE, Infrastrutture di Rete, Telemedicina e via dicendo.
Tutte tecnologie – e relativi ambiti d’investimento – da seguire con estrema attenzione nel 2024.
Ma perché esse producano vera innovazione in Sanità, serve qualcosa in più rispetto al sia pur nobile (e dichiarato) intento delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere di avvalersi sempre più di queste “nuove” tecnologie. E di investire su di esse.
Occorre, innanzitutto, saper ripensare in chiave critica il nostro Sistema Sanitario Nazionale.
“Per sottolineare la propria attenzione al SSN – si legge al proposito nel Rapporto OASI 2023 Cergas-Bocconi – il Governo rimarca l’aumento di 3 miliardi o poco più destinati al Fondo Sanitario Nazionale, mentre le opposizioni sottolineano che lo stanziamento comunque decresce in percentuale sul PIL e non può compensare l’aumento dell’inflazione e il caro energetico. Il dibattito si concentra su aspetti particolari quali la riduzione delle liste d’attesa, il rafforzamento dell’assistenza territoriale o l’innovazione della telemedicina e, in generale, delle tecnologie digitali; mentre Governo, opposizione e, duole dirlo, nemmeno la cosiddetta società civile, né la maggior parte degli esperti – sottolinea il Rapporto – si confrontano sul problema reale, quello di un ripensamento profondo del SSN dopo 45 anni dalla sua istituzione”.
Sotto la spinta suggestiva di tecnologie più o meno futuribili, il sistema sanitario italiano sta vivendo una trasformazione culturale dalla portata enorme. Soltanto un pensiero critico, però, potrà direzionarne la rivoluzione digitale in corso mettendo al centro le reali esigenze di salute dei cittadini.
È quanto afferma al proposito Giuseppe Melone – Economista e manager sanitario, docente di Organizzazione delle Aziende Sanitarie presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza – in questo approfondimento di HealthTech360.
Al quale fanno eco Domenico Marino – Professore associato Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria – e Demetrio Naccari Carlizzi – Avvocato – in questo approfondimento di HealthTech360 – sostenendo come sia sempre più urgente una chiara strategia digitale per la Sanità.
Il Sistema Sanitario Nazionale – osservano al proposito gli studiosi – deve liberarsi dall’approccio di diffidenza o di resistenza verso il management dell’innovazione. Occorre scongiurare il rischio di una sanità insostenibile. E, in tutto ciò, le tecnologie digitali possono svolgere un ruolo chiave.
E se ripensare in chiave critica il cambiamento del nostro SSN è certamente una priorità, è anche vero che un qualsiasi cambiamento non basta solo pensarlo. Occorre, infatti, caricarsi anche della responsabilità e della capacità di attuarlo.
“L’Italia – si legge al proposito nel citato Rapporto OASI – è un Paese nel quale è più elevato che in altri il gap tra la formulazione di leggi, norme, piani, che indicano cosa fare, e la responsabilizzazione sulla loro attuazione effettiva. Spesso si pensa che l’approvazione di una legge o di un piano, semmai ottenuta con difficoltà, sia il principale risultato. In realtà, al massimo si tratta di un passaggio intermedio, che, senza la capacità di attuazione, non produce risultati”.
In Italia, infatti, viviamo il paradosso – che emerge a chiare lettere anche dai numeri del DESI – di avere a disposizione gli strumenti digitali per fare innovazione più o meno allo stesso livello degli altri Paesi leader – ma di essere, invece, agli ultimi posti nell’utilizzo dei medesimi.
Abbiamo, cioè, gli strumenti digitali e le tecnologie per fare innovazione, ma non li usiamo. Non scarichiamo a terra le nostre potenzialità.
“Ma perché? Cosa succede nel mezzo del processo d’innovazione? Dove si blocca il tutto?”, ci siamo chiesti di recente, qui su HealthTech360.
Il problema è l’incapacità di progettare assieme – abbiamo osservato al proposito. Di coinvolgere, cioè, i destinatari dell’innovazione nella creazione di valore invece che – come spesso accade oggi – consegnare loro un prodotto chiavi in mano del quale – non riconoscendosi attori e promotori – spesso non sanno cosa farsene esattamente. Tutto ciò, inevitabilmente, accrescendone la già di per sé naturale resistenza al cambiamento. Occorre avere coscienza, cioè, del fatto che il percorso d’innovazione lo si deve compiere tutti assieme, dall’inizio alla fine.
E la soluzione non può che essere il co-design, il cui ruolo chiave è invocato più che mai praticamente da tutti gli attori della (vera) innovazione in Sanità.
E infine – ma non per ultimo – occorre non dimenticare mai che il cambiamento non è solo una questione di tecnologie. Lo abbiamo sottolineato nel suddetto approfondimento, osservando come occorra rimettere al centro le persone, con il loro entusiasmo, la voglia di cambiare davvero, il loro saper essere visionarie.
Persone predisposte a scrivere assieme il futuro della Sanità, con una vision pronta al cambiamento e anche – ove occorra – alla trasformazione delle proprie capacità e competenze pur di raggiungere questo obiettivo.
“Le direzioni strategiche delle aziende sanitarie – si legge al proposito nel Rapporto OASI – devono affrontare l’innovazione della leadership che richiede di essere visionari (saper guardare oltre i vincoli che sembrano insuperabili), autorevoli (dimostrare di comprendere i problemi che si devono affrontare) e credibili (dimostrare coerenza tra dichiarazioni e comportamenti e attenzione alle relazioni).
È grande l’impatto motivazionale di un direttore generale che lascia la scrivania e va nel pronto soccorso, negli ambulatori, che conosce i servizi e i professionisti, che discute le possibili soluzioni e che continuamente richiama la finalità di garantire buone risposte ai bisogni di salute lasciando da parte l’enfasi su procedure e adempimenti. Queste indicazioni generali diventano concrete accettando la sfida di investire sulle persone almeno quanto si investe su edifici, tecnologie, farmaci, robot, e dispositivi medici”.
Già, essere visionari. Incarnare, cioè, quella figura di Manager Ribelle della Sanità che – ispirandosi al “Talento ribelle” di Francesca Gino – docente italiana alla Business School dell’Università di Harvard –“sappia sposare le sue importanti esperienze e competenze professionali con modi e tempi che storicamente non gli appartengono, ossia quelli smart tipici delle imprese che fanno innovazione e che vogliono portarla sul mercato in tempi brevi per ottenerne un vantaggio competitivo.
Un manager fuori dai soliti schemi che – abbandonando la logica dei compartimenti stagni – sappia lasciarsi contaminare, aprendosi a nuove conoscenze che non gli appartengono ma che possano fare sistema con le sue”.