Terapia e Diagnostica

Teranostica: a che punto siamo in Italia?

Sebbene ci siano centri di eccellenza, lo sviluppo e la diffusione della teranostica nel nostro Paese procede un po’ a rilento. Oltre al limite strutturale, incide anche il quadro normativo e l’aspetto culturale. Occorre un cambio di mentalità a beneficio dei pazienti e di tutto il sistema sanitario

Pubblicato il 12 Apr 2024

Laura Evangelista

Direttore delle Medicine Nucleari del Gruppo Humanitas e Professore Straordinario di Medicina Nucleare presso Humanitas University

teranostica

La teranostica – termine che nasce dalla combinazione di Therapeutic (Terapia) e Diagnostic (Diagnostica) e indica l’integrazione di un metodo diagnostico con uno specifico intervento terapeutico – è un campo di crescente interesse per la medicina nucleare e sta rivoluzionando l’approccio alla terapia in oncologia.

Se l’oncologo una volta somministrava il chemioterapico sulla base dell’effetto atteso e attendeva il risultato   effettuando controlli tra un ciclo di trattamento e l’altro, infatti, oggi  è in grado di trattare quello che vede: con le opportune tecnologie di imaging medico nucleare, siamo in grado di vedere esattamente dove si trova la malattia, di conseguenza identificare quanto è estesa all’interno del corpo, capire effettivamente quando il farmaco target  ha raggiunto l’organo o il bersaglio e quanto poi è stato efficace.

L’approccio “vedo e tratto” della teranostica

La teranostica è un principio proprio della medicina nucleare: è un approccio totalmente differente, che si basa su “vedo e tratto”, permettendo sia di impostare la terapia in modo personalizzato sia di verificare l’efficacia del trattamento durante le varie fasi del ciclo terapeutico.
In questo senso, possiamo dire che la medicina nucleare si identifica con la medicina di precisione, perché l’approccio teranostico combina l’imaging molecolare con l’intervento terapeutico per permettere una cura più efficace per ogni paziente, grazie alla capacità di selezionare il trattamento che ha maggiori probabilità di successo. La capacità della medicina nucleare di identificare le aree della malattia che hanno maggiori probabilità di rispondere a terapie mirate è di grande valore per il paziente oncologico.

Teranostica: i requisiti fondamentali

Ma cosa serve oggi per “fare teranostica”?

Certamente, sono necessari alcuni requisiti fondamentali. Innanzitutto, occorrono le giuste competenze: è necessario che ci sia una equipe in grado di gestire questo approccio duplice (la diagnostica e la terapia).
La parola chiave che racchiude tali competenze è sicuramente l’interdisciplinarietà.
È indispensabile, infatti, un approccio multidisciplinare, perché è difficile che il singolo specialista possa trattare patologie complesse e molto diverse far loro. Infatti, occorrono team che possano identificare il percorso migliore, il paziente giusto e le caratteristiche necessarie per l’approccio teranostico.

Servono poi strutture adeguate, dove si possano effettuare, anche secondo la normativa vigente, le terapie nel modo più sicuro ed efficace possibile.

Infine, un presupposto fondamentale per fare teranostica è l’innovazione tecnologica: rientrano senz’altro in quest’area le grandi apparecchiature (tomografia ad emissione di positroni – PET, gamma-camere dedicate per la teranostica, apparecchiature che siano in grado di rilevare la dose in corso di trattamento) ma per fare  terapia in modo corretto sono necessari anche software dedicati al calcolo dosimetrico – che oggi è anche un obbligo di legge -, in grado di quantificare la dose da somministrare ad ogni ciclo al fine di ottimizzare quella ricevuta dagli organi oggetto di malattia rispetto a quella ricevuta dagli organi sani.

Parola d’ordine: innovazione

Quando si parla di teranostica, dunque, una delle parole chiave è innovazione, necessaria per fare la differenza. Innovazione intesa come tecnologia sanitaria, quindi grandi apparecchiature all’avanguardia, percorsi diagnostico-terapeutici specifici, e nuovi radiofarmaci.

Ovviamente, nel termine innovazione è compresa anche la sperimentazione clinica, il trasferimento tecnologico, e l’ambito organizzativo. Questo processo è iniziato da qualche anno – in Italia dal 2017 – sebbene il primo approccio teranostico è stato proposto sin dal 1941.
Il panorama odierno mostra i primi passi nel seguire i processi di innovazione della teranostica, ma si registrerà un’evoluzione costante nei prossimi anni.

La teranostica in oncologia

Oggi parliamo di teranostica soprattutto in ambito oncologico – è un’opzione in rapido sviluppo per una varietà di tumori, da quelli ematologici a quelli solidi – ma questo approccio ha un’applicazione potenzialmente molto ampia, che può abbracciare ambiti diversi.

Attualmente, la teranostica è realtà per la terapia del tumore differenziato della tiroide grazie all’uso dello Iodio-131, nei tumori neuroendocrini, forme rare di neoplasie che spesso colpiscono i più giovani, mediante l’uso del Lutezio-177 legato ad analoghi della somatastatina e nella malattia metastatica nel tumore della prostata resistente alla terapia ormonale con l’uso del 177Lutezio associato ad un recettore espresso sulle cellule tumorali della prostata.

Gli altri ambiti di applicazione

Ma la teranostica, considerata in senso più largo, si può applicare anche in ambito neurologico, basti pensare ai farmaci per l‘Alzheimer, che sono già approvati oltreoceano, ma che richiedono molto spesso anche un approccio diagnostico iniziale per identificare la presenza della malattia e quindi monitorarne l’efficacia.

Probabilmente, in un futuro prossimo sarà estesa anche ad ambiti come infezioni e infiammazioni o all’ambito cardiologico.

Quindi, si tratta di qualcosa che è fortemente in divenire: man mano che si consolida in alcuni campi, divenendo prassi, può essere estesa più facilmente ad altri.

Teranostica: a che punto siamo in Italia?

Se guardiamo allo sviluppo e diffusione della teranostica nel nostro Paese, troviamo che l’Italia si muove un po’ a rilento. Sebbene ci siano centri di eccellenza, il limite è principalmente di tipo strutturale, perché non tutti oggi hanno strutture e apparecchiature adeguate allo sviluppo di questo approccio.

In secondo luogo, c’è un limite rappresentato dal quadro normativo, che è un elemento paralizzante della nostra nazione e non ci permette di stare al passo con le innovazioni in campo sanitario.

In ultimo, ma altrettanto importante, c’è un aspetto culturale: servirebbe un cambio di mentalità, relativamente all’aspetto organizzativo e alla sperimentazione, perché se vogliamo procedere veloci e garantire ai cittadini approcci innovativi dobbiamo essere più scaltri nell’adeguarci alle nuove sperimentazioni (basti pensare alla Fase1 della sperimentazione con i radiofarmaci che al momento in Italia è limitata a pochissimi centri).
I medici nucleari, così come gli oncologi, altri specialisti e i decisori, devono essere in primo piano in questo cambio di mentalità, necessario per permettere una diffusione più rapida di approcci innovativi, a beneficio dei pazienti e di tutto il sistema sanitario.

Non ultimo, si potrebbe puntare su un’educazione della cittadinanza, perché la conoscenza di questi metodi innovativi è ancora poco diffusa e può essere essenziale per la corretta conoscenza delle alternative terapeutiche, soprattutto in un modello di salute centrato sul paziente.

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