Le patologie neurodegenerative stanno aumentando come prevalenza, vuoi per l’innalzamento dell’aspettativa di vita (almeno nei paesi industrializzati), vuoi per il miglioramento dei sistemi diagnostici, vuoi anche per la maggior consapevolezza di ciascuno di noi circa l’importanza della propria salute, ragion per cui stiamo molto più attenti a cosa ci succede in tale ambito.
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Una patologia subdola che può colpire anche i giovani
Tra le patologie neurodegenerative più note, c’è la malattia di Parkinson. Contrariamente al comune pensare, questa patologia non colpisce solo gli anziani: se di origine genetica, può manifestarsi anche in persone giovani (Michael J. Fox ne è un chiaro esempio, essendogli stata diagnosticata la patologia quando aveva 30 anni). Se di origine idiopatica, l’incidenza aumenta negli over 50, cioè ancora in piena età lavorativa.
E’ una patologia “subdola”, perché i suoi sintomi possono essere riconducibili ad altre cause, soprattutto perché negli stadi iniziali sono più comuni i sintomi non motori, quali i disturbi del sonno.
Parkinson: sensori, app e tecnologie per aiutare i pazienti
I malati di Parkinson sono costretti a fare un pellegrinaggio per vari clinici e ospedali prima di ricevere una diagnosi. A quel punto, si ritroveranno a vedere il neurologo mediamente in un paio di occasioni l’anno. A volte, anche affrontando lunghi viaggi per andare in un centro specializzato.
Il Covid ci ha penalizzato rinchiudendoci in casa, ma ci ha anche fatto scoprire l’enorme potenziale offerto dalle tecnologie digitali per la salute.
Queste tecnologie esistono ormai da quasi vent’anni, sotto forma di strumenti per catturare dati rilevanti per la salute o per facilitare la comunicazione tra medico e paziente.
Esse comprendono, quindi, sensori indossabili o impiantabili, sensori domestici, app per telefoni, o sistemi di telemedicina che permettono l’interazione da remoto.
Il monitoraggio continuo del Parkinson con i sensori indossabili
Una delle promesse offerte dai suddetti strumenti è l’abilità di quantificare oggettivamente una varietà di segni e sintomi, sia in ospedale che a casa.
Nella malattia di Parkinson, il monitoraggio continuo, mediante sensori indossabili o app, durante il giorno, anche per lunghi periodi di tempo, nell’ambiente naturale del paziente, può essere molto utile per valutare le variazioni nella gravità e nella natura dei sintomi.
Inoltre, i cambi nel regime terapeutico impiegano tempo prima di avere un impatto sui sintomi e – nelle 2-3 visite annuali dal neurologo – il paziente li riporta in maniera a volte incompleta o distorta.
Soggettività e bias nelle visite in presenza
I clinici sanno bene che vi è anche un bias nelle valutazioni effettuate durante le visite faccia a faccia: il paziente, tendenzialmente, riporta solo la sua esperienza delle ultime settimane e non quella dei 6 mesi precedenti; oppure, tende a riportare solo i miglioramenti, o quelli percepiti come tali, se non addirittura solo i peggioramenti. E può accadere che la valutazione del caregiver sia opposta.
Sono chiaramente valutazioni soggettive e dipendono anche dall’umore di entrambi durante la visita.
Parkinson e sensori: l’aiuto che viene dalle applicazioni digitali
Le discrepanze analizzate pongono la questione di cosa venga realmente esaminato in clinica rispetto al domicilio del paziente.
I nuovi strumenti digitali, oltre a dare misurazioni oggettive, potrebbero anche fare luce su alcune caratteristiche della patologia finora poco considerate. Tra queste:
- funzione sociale (cioè, quanto tempo un individuo passa in casa o fuori)
- sedentarietà
- voce
- cadute
- congelamento del cammino (FOG = Freezing of Gait)
- risposta oggettiva al trattamento.
Decentralized Clinical Trials e Medicina Personalizzata
Queste applicazioni tecnologiche possono anche ridisegnare la modalità di conduzione degli studi clinici, passando ai cosiddetti Decentralized Clinical Trials, che permetterebbero di risparmiare tempo (anche per lo spostamento dei pazienti a causa delle visite in ospedale) e denaro, incrementando anche l’arruolamento.
Ultimo, ma non ultimo, il monitoraggio a casa permetterebbe la Medicina Personalizzata, soprattutto in questa patologia, dove non esiste un algoritmo terapeutico ben definito e uguale per tutti, ma ogni paziente è un mondo a sé, e il clinico è un po’ un alchimista.
Parkinson, sensori e monitoraggio a distanza: quali vantaggi?
Per quanto finora analizzato, il monitoraggio a distanza nella malattia di Parkinson (ma, presumibilmente, anche in altre patologie croniche) offre – tra gli altri – i seguenti importanti vantaggi:
- Aiuta nella valutazione oggettiva dei sintomi e della progressione di malattia, bypassando la soggettività dei ricordi o del “sentire” del paziente e del caregiver
- Mostra al paziente, sempre oggettivamente, i risultati di una terapia, il che potrebbe migliorarne l’aderenza
- Personalizza la terapia in funzione delle reali necessità (approccio data driven)
- Fa risparmiare tempo e denaro al paziente per raggiungere l’ospedale
- Interviene rapidamente in caso di peggioramento dei sintomi
- Modifica la modalità con cui si conducono gli studi clinici, con la possibilità di migliorare l’arruolamento dei pazienti, valutare oggettivamente l’efficacia di un farmaco e far risparmiare soldi al servizio nazionale
- Aumenta l’interazione tra clinico e paziente
- Riduce i costi delle terapie, con la personalizzazione delle stesse e anche con la riabilitazione a casa.
Va però sottolineato che i sensori indossabili o le app devono essere di facile utilizzo sia per i clinici che per i pazienti, per evitare di creare un divario di prestazione tra chi è “digital” e chi non lo è, e soprattutto, per permetterne l’adozione.