Dalle stime dell’Istituto Superiore di Sanità – e da analoghe casistiche internazionali – sappiamo che la protezione generata dai vaccini è di oltre il 95% rispetto al ricovero in ospedale – compresa la terapia intensiva – e rispetto alla morte del paziente Covid-19.
Anche per la variante Delta del virus – che attualmente è quella predominante in Europa – l’aumento del rischio di ospedalizzazione è soprattutto tra chi non è vaccinato o lo è parzialmente.
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L’esitazione vaccinale aggrava l’emergenza pandemica
La pandemia di Covid-19 non accenna a fermarsi e l’unica arma a disposizione per flettere le curve dei nuovi casi giornalieri, soprattutto quelle di mortalità, è la vaccinazione.
È una corsa contro il tempo e l’esitazione vaccinale rallenta il raggiungimento dell’immunità di gregge favorendo, oltre all’aumento dei ricoveri e della mortalità, anche la comparsa di nuove, pericolose varianti.
L’esitazione vaccinale è un fenomeno multifattoriale influenzato da una serie di fattori:
- cognitivi
- psicologici
- socio-demografici
- politici
- culturali.
I quattro pilastri (da abbattere) dell’esitazione vaccinale
Di recente, abbiamo scoperto (la ricerca – condotta da Fidelia Cascini – autore del pezzo che state leggendo – assieme agli altri autori Pantovic A., Al-Ajlouni Y., Failla G., Ricciardi W., – è stata pubblicata su The Lancet – EClinicalMedicine, n.d.r.) che per vincere l’esitazione vaccinale occorre rispondere direttamente ai bisogni espressi dalle persone (sono questi, infatti, a guidare i loro comportamenti) abbattendo i quattro pilastri dell’esitazione, cioè:
1) il fattore tempo, che è principalmente legato alla velocità di sviluppo del vaccino Covid e alla mancanza di tempestiva condivisione pubblica delle fasi di sviluppo;
2) la scarsa consapevolezza di rischi e benefici dei vaccini anti-Covid, correlata all’inaccessibilità delle informazioni durante il processo produttivo degli stessi;
3) la mancanza di personalizzazione nella scelta del tipo di vaccino, nonostante la disponibilità di vaccini basati su tecnologie molto diverse;
4) la poca confidenza verso l’operazione vaccinale, dipendente dall’incapacità di riuscire a guadagnarsi la fiducia e la simpatia delle persone.
Questi i motivi alla radice dell’esitazione vaccinale.
Occorre, allora, abbattere questi pilastri introducendo strategie nuove e anche innovative.
Tra queste, vi sono quelle basate sulla tecnologia digitale.
La relazione tra social media ed esitazione vaccinale
La rete internet e i social media hanno permesso, durante la pandemia, non solo una condivisione rapidissima e ubiquitaria delle informazioni, ma anche il dilagare di tanta disinformazione che ha avuto effetti sul rapporto delle persone con i vaccini.
Così, in alcuni Paesi del mondo, l’esposizione alle informazioni veicolate dai social media ha favorito l’avvicinamento alla campagna vaccinale nella popolazione giovane-adulta, mentre in altri Paesi gli stessi strumenti sono stati utilizzati per scoraggiare la vaccinazione, alimentando l’insicurezza e la diffidenza.
Si è visto, peraltro, che la combinazione di un atteggiamento passivo rispetto alle notizie ufficiali – facendo affidamento sulle proprie reti di amici online – e la dipendenza dai social media per acquisire informazioni, favorisce sentimenti di scoraggiamento rispetto alla vaccinazione.
L’uso dei social media in sinergia con i canali di informazione tradizionali e ufficiali – come le reti TV e i giornali nazionali – favorisce, invece, l’accettazione.
Ciò che è indubbio è che i canali social sono capaci di influenzare il sentimento delle persone in relazione all’esitazione o accettazione vaccinale più di quanto non accada con i canali mediatici tradizionali.
Ma bisogna stare attenti al fenomeno delle echo chambers, caratterizzate dal fatto che le persone si isolano concettualmente e autoalimentano le proprie credenze – come quella complottista contro i vaccini – senza cercare un confronto con l’esterno.
L’importanza della comunicazione scientifica e sanitaria
E allora, come affrontare il problema dell’esitazione vaccinale usando strumenti innovativi?
Innanzitutto, aprire uno spazio ad ulteriori riflessioni sulle strategie comunicative che, utilizzando questi strumenti al fianco di quelli tradizionali, permettano di recuperare la popolazione esitante puntando a raggiungere l’immunità di gregge senza obbligatorietà.
Poi, utilizzare tecniche specifiche per la comunicazione scientifica e sanitaria – su una varietà di piattaforme mediatiche – da parte di leader di comunità e personaggi influenti e competenti capaci di rassicurare le persone con informazioni affidabili e adeguatamente proposte per alimentare il senso di fiducia in contrapposizione alla disinformazione paralizzante.
Ancora, aiutare le persone, in particolare i giovani – che spendono più tempo sui social e sulle nuove piattaforme digitali rispetto agli anziani – ad acquisire capacità per individuare le fake news.
Infine, avvicinarsi alle persone più inclini all’uso delle tecnologie, utilizzando social vecchi e nuovi (tra cui Facebook, Instagram, TikTok e Twitter) per coinvolgere specifici sottogruppi – divisi per età e preferenze argomentative – all’interno di una campagna informativa di precisione basata su messaggi curati da esperti e il più possibile personalizzata sia nei contenuti che nel linguaggio.
La questione da porsi, infatti è: se tutte queste tecniche di comunicazione sono oggetto di studio e interesse nell’ambito di campagne di marketing a scopo commerciale, perché non lo sono per scopi più importanti e urgenti come la comunicazione della scienza medica in epoca di pandemia e la tutela della salute pubblica?