Alexander mi fe’; disfecemi l’Enrico.
Mi perdoni il Sommo Poeta, ma l’occasione era troppo ghiotta.
La lunga parabola del fax inizia nel diciannovesimo secolo: è del 1843 il brevetto dello scozzese Alexander Bain relativo ad un primitivo strumento per la trasmissione di immagini a distanza. La tecnologia si è via via affinata e l’idea di trasmettere a distanza qualcosa in più degli ormai abituali caratteri telegrafici, o della voce umana tramite telefono, si affermò progressivamente nei primi decenni del ‘900, con il telefax che assunse il ruolo di strumento quasi abituale di lavoro.
È nel 1924, giusto un secolo fa, che prese vita il fax nella sua forma più moderna, grazie a Richard H. Ranger che riuscì a trasmettere una foto oltreoceano utilizzando un canale radio. Da allora, il fax ha avuto una crescita spettacolare praticamente ovunque, consentendo di trasferire documenti di uno o più fogli da una parte all’altra del globo.
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La scomparsa del fax in Italia
La storia del fax si chiude drasticamente (almeno per l’Italia) nel 2013, con l’approvazione del cosiddetto “Decreto del Fare”, che aggiunse all’art 47 del Decreto Legislativo 82/2005 una frase lapidaria: “È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax”.
Lapidaria nel vero senso della parola, perché pose una pietra tombale sull’uso del fax in Italia. Il primo firmatario del Decreto del Fare fu Enrico Letta, Presidente del Consiglio nel 2013.
La messa al bando governativa del fax era sì riferita alle sole Pubbliche Amministrazioni, ma ovviamente queste, in breve tempo, trascinarono con sé anche il mondo privato (famiglie ed imprese). In pratica, nel giro di pochi anni, i fax sono quasi scomparsi dalle scrivanie italiane.
Addio al fax: ma fu vera gloria?
Personalmente, nutro qualche dubbio.
Il fax (abbreviazione di fac-simile, cioè, in latino, “fai la stessa cosa”) ha attraversato in Italia periodi di grande popolarità, soprattutto negli anni ‘80 e ‘90: ricordate la trasmissione TV “Mi manda Lubrano” con la sua rubrica finale “Mi faccia un fax”? Oppure il “popolo dei fax”, composto a inizi anni ‘90 da coloro che inviavano messaggi via fax per manifestare la propria approvazione o il proprio sdegno, lanciandosi a colpi di fac-simile contro il potere?
Questo strumento, accanto a limiti tecnologici e prestazionali evidenti, aveva anche degli incontestabili vantaggi:
- costava poco: attualmente, un apparecchio old style è disponibile a circa 200 Euro, e basta collegarlo ad una linea telefonica standard per iniziare a faxare. Il costo dell’invio è pari a quello di una telefonata di uguale durata;
- era facile da usare: inserire il foglio e comporre il numero. Fatto. Il livello di difficoltà era paragonabile a quello necessario per un Nokia 1100 o giù di lì, la più grande difficoltà stava nell’azzeccare il verso giusto del foglio da inserire;
- era relativamente sicuro: anche se esistono possibilità di intercettazione del messaggio, la struttura sostanzialmente analogica del sistema lo mette al sicuro dai rischi cyber: i fax non sono soggetti a virus e neanche ad attacchi hacker;
- era materiale e non smaterializzato. Questo, che per molti è un difetto, mi è stato citato da diversi colleghi come un pregio, perché il foglio “si vede”, “mi accorgo che è arrivato”, “l’apparecchio fax fa drin quando riceve”.
Non è un caso che in molti Paesi il fac-simile sia ancora piuttosto diffuso (soprattutto in Giappone, vista anche la particolarità del suo sistema di scrittura, ma anche in Germania, Stati Uniti, Canada) dove comunque, anche se deprecato, non è stato ancora abolito per legge.
Non che in Italia non ci siano state delle resistenze all’abolizione del dispositivo: a cominciare dalla larga diffusione dei “fax virtuali” che riproducono su PC il comportamento del fax analogico (con l’unica ovvia differenza che ad essere trasmessi devono essere dei file, ad esempio pdf e non fogli di carta) ma che hanno offerto una sorta di resistenza della vecchia guardia “faxista” alle nuove norme abolizioniste.
Il fax in Sanità: l’esempio dell’Ospedale
Ma chi ha voluto adempiere del tutto al diktat del 2013 si è trovato in una situazione non sempre virtuosa: facciamo un esempio pratico, in una realtà ipotetica.
Supponiamo di trovarci in questa situazione: da un reparto ospedaliero si vuole fare una richiesta di farmaci a scorta, ovvero già disponibili nella farmacia aziendale. Gli infermieri riempiono un modulo, indicando le necessità, il coordinatore timbra e firma il documento e lo invia per fax alla farmacia interna. Il farmacista riceve il documento, compone il collo da inviare e fa partire il trasporto allegando il fax ricevuto con eventuali annotazioni ed in più data e firma per lo scarico dei beni. Magari ne fa anche una copia da mantenere in farmacia per adempimenti successivi.
Non elegante, tutto analogico, ma anche piuttosto semplice.
Vediamo la situazione post-2013: il modulo di partenza è lo stesso, ma un impiegato amministrativo, dopo timbro e firma, deve scansionarlo, portarlo su un PC tramite chiavetta USB – se lo scanner non è in rete – ed inviarlo come allegato a una mail per la farmacia. Qui viene ricevuto (non necessariamente in tempo reale, c’è necessità di controllare la casella di posta elettronica), stampato in due copie e una delle due (firmata, datata e annotata) ritorna al reparto. Per sicurezza, poi, si invia un’altra mail per assicurare il richiedente che il collo è davvero partito.
Se facciamo un rapido bilancio di costi e tempi delle due soluzioni, il buon vecchio fax vince su tutta la linea.
Digitalizzare, ma ripensando i processi
E allora, perché diciamo che la digitalizzazione è stata (o sarà) una grande leva di efficientamento (che brutto termine) della Pubblica Amministrazione? Lo potrebbe essere, il guaio è che spesso ci scordiamo di un altro ingrediente: la reingegnerizzazione dei processi (o BPR, Business Process Reengineering).
Al di là delle sigle, e con larga approssimazione, il BPR consiste nel ripensare a come i processi amministrativi si svolgono all’interno dell’organizzazione, per rivederli, farli svolgere altrove o, al limite, eliminarli.
E solo alla fine di questi passi è opportuno parlare di informatizzazione.
Le domande da farsi per una digitalizzazione che porti valore
In termini molto semplici, una volta individuate le fasi del processo, è necessario chiedersi:
- la fase è necessaria?
A questo proposito, ricordo un aneddoto riferitomi da un collega molti anni fa. Durante il periodo militare aveva notato che il servizio di guardia comprendeva 5 reclute: 4 posizionate nelle garitte sul muro di cinta ed una alla panchina vicino al laghetto dei pesci in mezzo alla caserma. La cosa gli sembrò strana, ma solo dopo qualche tempo capì l’arcano: un comandante di alcuni anni prima aveva deciso di far pitturare la panchina e, quindi, mise un militare per la notte a far sì che nessuno si sedesse. Dopo qualche giorno il comandante fu avvicendato, e il subentrante pensò bene di non andare contro al volere del predecessore, continuando per mesi a posizionare una guardia a difesa del laghetto e della panchina, ormai asciutta.
A qualcuno di voi viene in mente la frase “si è sempre fatto così”? Ecco, appunto.
- la fase va svolta in questo punto del processo?
Qui mi viene in mente un episodio personale: mi è capitato di sottoscrivere un documento nel quale dichiaravo l’assenza di conflitto di interessi per la partecipazione ad un bando di gara come tecnico responsabile del futuro contratto, senza sapere quali aziende avrebbero risposto al bando. Ha senso? Assolutamente no.
- la fase deve essere svolta da questo ufficio/servizio/personale?
- la fase deve essere svolta con queste modalità operative?
È solo a questo punto che si può iniziare a parlare efficacemente di informatizzazione, digitalizzazione, Cloud, Intelligenza Artificiale e via discorrendo. Scegliendo, quindi, le migliori soluzioni tecnologiche ed incardinandole nella realtà organizzativa dell’ente.
Richiesta farmaci: la revisione del processo
E allora, proviamo a vedere come si può revisionare il semplice processo di richiesta farmaci:
- La carta è necessaria?
- La firma ed il timbro sono necessari?
- L’archiviazione della copia in partenza ed in arrivo sono prescritte da regolamenti?
Se la risposta è sempre sì, allora il fax, ahimè, era proprio la scelta giusta, e la mail è solo uno scimmiottare un processo precedente.
Viceversa, se si comincia a pensare il processo in modalità non-cartacea, si può ipotizzare una semplice applicazione web che gestisca delle form previa autenticazione. Un qualcosa del tipo Google Moduli, absit iniuria verbis. E questa procedura può poi essere complicata a piacere aggiungendo firme digitali, marche temporali e gestione dell’archivio richieste. Ma della mail se ne può tranquillamente fare a meno.