Il patient journey rappresenta l’intera sequenza di eventi vissuti da un paziente all’interno di un determinato sistema sanitario, dalla prenotazione di un appuntamento per un controllo regolare alla cura di una malattia o di un infortunio, da un intervento chirurgico al trattamento post-operatorio e a un’eventuale riabilitazione. Ogni singola interazione con un paziente fa parte del percorso di coinvolgimento del paziente stesso e rappresenta un’occasione per la struttura sanitaria di mostrare il livello di “attenzione” verso le persone o per chi fornisce dei servizi per aggiungere un reale valore.
Non va infatti dimenticato che le aspettative dei pazienti riguardo all’esperienza e al servizio sono cambiate nel corso degli anni. Oggi ci sono maggiori possibilità di scelta in merito a dove ottenere una determinata cura o a sottoporsi a un certo intervento. I pazienti si aspettano che l’interazione con la struttura sanitaria avvenga alle loro condizioni, non a quelle imposte dalla struttura stessa. In pratica, è più importante che mai riuscire a fornire un’esperienza che il paziente possa considerare davvero personalizzata.
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Guai a tradire la fiducia dei pazienti
D’altra parte, riuscire a coinvolgere adeguatamente i pazienti crea fiducia e sicurezza e li induce a consigliare una struttura a parenti e amici. Secondo uno studio del Beryl Institute, il 70% dei pazienti condividerà con altre persone un’esperienza positiva. C’è però il rovescio della medaglia. Ben il 76% dei pazienti si dice propenso a condividere un’esperienza negativa e il 37%, per il futuro, sceglierà un’altra struttura.
Soddisfare le aspettative dei pazienti significa creare un patient journey davvero coinvolgente. Un patient journey che trasformi l’esperienza sanitaria da prevalentemente reattiva in proattiva. Senza dimenticare che un patient journey efficace non è solo soddisfacente per chi ha bisogno di cure, ma organizza meglio l’attività creando quindi un beneficio all’intero sistema sanitario e di conseguenza alla nostra salute.
Un insieme di digitale e fisico
Ma come dovrebbe essere un patient journey per rispettare le aspettative del paziente? “Dovrebbe avere come obiettivo principale la soddisfazione del paziente – sostiene Mauro Di Maulo, responsabile dello sviluppo di nuove soluzioni business di Artexe, società del gruppo Maps specializzata in soluzioni digitali per la sanità -. Mettendo il paziente al centro dei propri obiettivi, ci si può avvalere del supporto degli strumenti digitali oggi disponibili per indirizzare il paziente stesso verso tutti i processi di presa in carico al fine di soddisfare le sue necessità. Oggi un efficace patient journey è sempre più frutto di analisi di processi e di gestione di percorsi che prevedono un insieme di digitale e fisico”.
Questo significa, per esempio, che si usano chioschi per il self check-in piuttosto che display per il digital signage che orientano nelle sale di attesa o forniscono informazioni per potersi relazionare con un medico. Inoltre, si possono semplificare, e in alcuni casi anche eliminare, i processi burocratici e amministrativi per la prenotazione di un esame e del pagamento per il ritiro degli esiti, perché tutto viene inserito nel patient journey ed eseguito attraverso device oppure tramite portali o app. In queste situazioni, non solo si soddisfa il paziente perché ottiene un servizio più rapido e che non crea disagi, ma si libera anche del tempo all’organizzazione che può occuparsi della presa in carico della cura e della relazione con l’assistito.
Il concetto di patient centricity
“È in atto un cambiamento di paradigma nel patient journey – aggiunge Mauro Di Maulo –, l’attenzione si sposta dalle procedure al paziente. Si va sempre più verso il concetto di patient centricity. Peraltro, è un cambiamento mediato da quanto accaduto durante la pandemia, quando si è agito solo a infezione avvenuta. Ora il sistema sanitario sta lavorando affinché l’attenzione sul paziente non sia posta solo nel momento della necessità, quando c’è l’urgenza, ma avvenga anche secondo un concetto più ampio di cura, così da agire in modalità preventiva. Per ottenere questo tipo di attenzione è necessario creare il patient engagement”.
In pratica, il paziente prima si rivolgeva alla struttura in modo passivo per avere risposte a un proprio bisogno. Quindi doveva seguire procedure lunghe e articolate, che per esempio prevedevano di recarsi in più luoghi per prenotare una visita, magari da fare poi in una struttura ancora diversa. Ora, invece, il paziente diventa parte attiva del processo organizzativo di presa in carico: può prenotare autonomamente online delle visite e quando si presenta in cassa ha un QR code che, attraverso un chiosco, gli permette di fare un self check-in. Non c’è più bisogno del coinvolgimento dell’organizzazione della struttura sanitaria perché, attraverso tali strumenti, è il paziente che entra a far parte del processo organizzativo. Viene reso partecipe della presa in carico del suo percorso di cura, viene informato puntualmente attraverso una serie di strumenti digitali e fisici. Questo libera l’organizzazione da processi che possono essere semplificati, riuscendo a far risparmiare tempo sia all’organizzazione stessa sia al paziente in termini di attese per l’orientamento e per la destinazione a più visite in giornata.
Una nuova organizzazione
La modifica del paradigma porta anche altre evoluzioni del patient journey che coinvolgono ulteriori luoghi dove può arrivare la comunicazione sul territorio, come le farmacie o le case di comunità. Raggiunge anche la telemedicina, dove i pazienti sono dotati di device per il monitoraggio avendo così anch’essi una parte attiva nella cura.
Tutto ciò, evidentemente, ha un notevole impatto sull’organizzazione del lavoro all’interno della struttura sanitaria e influisce su come questa organizza le proprie persone durante la giornata.
“L’organizzazione è pesantemente coinvolta e deve cambiare molte delle modalità operative – sottolinea Di Maulo –. Anzitutto, non deve più lavorare a compartimenti stagni, ma deve esserci una condivisione di dati e analisi per migliorare i processi. Il digitale deve diventare il componente su cui costruire la nuova organizzazione ed è necessario un grosso commitment del personale, che deve credere nella digitalizzazione. Non deve vederla come un test o un esperimento. Affinché ciò accada, gli stakeholder (direzione sanitaria, primari, responsabile del Cup e così via) devono essere coinvolti nel processo, devono avere chiaro il progetto e devono essere coinvolti nel cambiamento senza subirlo passivamente. Altrimenti, c’è il rischio che ostacolino il cambiamento arroccandosi dietro frasi del tipo ‘siamo abituati a lavorare in un certo modo e non possiamo cambiare’ o anche ‘dobbiamo prendere in carico i pazienti secondo modalità assodate’. Sulla base di dati e di analisi dei bisogni molto accurate, occorre fargli capire che anche loro saranno parte attiva del processo organizzativo e che questo non solo migliorerà il loro lavoro ma anche i processi e i tempi di tutta l’organizzazione”.
Il patient journey sta vivendo un periodo di grandi evoluzioni e il paziente diventa sempre più parte attiva del suo processo di accesso alla cura. Ma perché una struttura sanitaria possa trarre vantaggio da questo cambiamento è necessario che prenda coscienza del fatto che una vera e propria evoluzione organizzativa non è più rimandabile.
Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Artexe