Trasformazione digitale

Sanità: serve un percorso di empowerment digitale

Occorre passare dai documenti ai dati strutturati. Ma non si può delegare l’evoluzione della Medicina ai soli tecnici. Bisogna consentire ai professionisti della Sanità (medici e infermieri, ma anche funzionari e dirigenti) di diventare i protagonisti di una trasformazione digitale rivolta alla creazione di valore

Pubblicato il 04 Apr 2022

Massimo Mangia

CEO, startup Founder e consulente strategico. Docente di informatica medica presso l’Università di Chieti

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Il nuovo Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE 2.0) e la Piattaforma Nazionale di Telemedicina prevedono un cambio di paradigma nella gestione delle informazioni che passeranno da una rappresentazione sotto forma di documenti elettronici a dati digitali nativi. I documenti che ne descrivono le architetture e le modalità di realizzazione si concentrano sugli aspetti tecnologici e semantici che tale scelta comporta. A livello di interoperabilità, è stato indicato HL7 FHIR come focus centrale insieme al supporto degli standard attuali come HL7 CDA e la messaggistica versione 2, DICOM SR e i profili IHE XDS per la gestione documentale che comunque rimarrà.

Lo stato attuale della digitalizzazione clinica

Il paradigma attuale è, come sappiamo, basato sui concetti di documenti e fascicoli che rappresentano la trasposizione in digitale dei processi di documentazione e rappresentazione della conoscenza medica. È vero che i documenti sono diventati digitali anziché cartacei, che la firma autografa è stata sostituita da quella elettronica, che si è tentato, con poco successo, di dare una struttura alle informazioni in essi contenuti, ma nel complesso si è trattato di una “rivoluzione gentile” che non ha cambiato più di tanto il modo di lavorare di medici e infermieri.

Il referto è diventato digitale, di solito un PDF, le richieste sono dei moduli elettronici, il diario clinico è rimasto un elenco cronologico di informazioni, le schede di valutazione sono delle form che spesso ricalcano, anche nell’aspetto grafico, i moduli prestampati che gli ospedali adoperavano e, in alcuni casi, continuano a utilizzare.

Anche a livello funzionale i sistemi clinici elettronici sono per lo più dei contenitori di informazioni organizzati secondo la tipologia di moduli che vanno a sostituire: anamnesi ed esame obiettivo, schede di valutazione, bilancio idrico, foglio unico della terapia e così via.

Questa impostazione, se da un lato ha permesso una transizione digitale semplice, senza un particolare sforzo per la gestione del cambiamento che è stata focalizzata sullo switch del media più che sulla revisione dei processi clinici, ha per contro mostrato i suoi limiti in termini di valore percepito da parte dei medici e degli infermieri, a cui è stata tolta la carta, che ha tanti pregi in termini di semplicità, intuitività e praticità, per spingerli a utilizzare dei sistemi software che spesso si sono rilevati complicati e scomodi da utilizzare, avendo in cambio pochi vantaggi reali.

A livello di Fascicolo Sanitario Elettronico poi, la ripartizione delle informazioni cliniche in tanti documenti, si è rivelata di poca utilità, dal momento che i medici, per avere un quadro completo della situazione del paziente, conoscere ad esempio i suoi problemi di salute e le sue diagnosi, le terapie, le allergie, i suoi dati emato-chimici, devono aprire e leggere una quantità e varietà di documenti.
Per ovviare a questo limite, si è pensato di creare un nuovo documento, il Profilo Sanitario Sintetico, che i medici di famiglia avrebbero dovuto compilare e inviare al FSE.

Dai documenti ai dati strutturati

Quest’ultimo aspetto può essere, in teoria, facilmente superato qualora si disponesse dei dati clinici in forma strutturata che potrebbero essere rappresentati attraverso dei cruscotti o visualizzatori sinottici evoluti in grado anche di correlare diverse tipologie di informazioni, ad esempio la terapia di un anti-ipertensivo con il valore della pressione arteriosa.

Un altro vantaggio che offrono i dati strutturati è la possibilità di sviluppare un ecosistema di servizi intelligenti in grado di aiutare medici ed infermieri nel loro lavoro come, ad esempio, sistemi di supporto alle decisioni, tool per i pazienti per gestire il follow-up di ricoveri o le loro patologie croniche, sistemi analitici e statistici e così via.

Guardando allora il cambio di paradigma dai documenti ai dati strutturati con questa prospettiva, verrebbe da dire che non vi sono dubbi sull’utilità e la necessità di fare questo passaggio per far sì che, finalmente, l’informatica clinica diventi uno strumento di valore per medici, infermieri e il sistema sanitario.

Esistono, però, due aspetti che non sono stati sufficientemente esaminati anche perché, come purtroppo accade in Italia, le iniziative che riguardano le infrastrutture digitali (FSE e piattaforma di telemedicina) sono state ideate in gruppi di lavoro ristretti senza medici e infermieri, né è stata data la possibilità di un confronto con i portatori di interesse, come invece è prassi negli altri Paesi.

I flussi di lavoro della Medicina

Volendo semplificare, pur se perfettamente consapevoli del rischio di “banalizzare”, potremmo dire che il lavoro del medico si basa sull’osservazione del paziente, la ricerca di riscontri oggettivi mediante visite ed esami diagnostici, la formulazione di una diagnosi e della possibile prognosi, la definizione e lo svolgimento di una terapia, il controllo delle condizioni del paziente e così via…

Questo lavoro è svolto da più professionisti (medici, infermieri, tecnici) in tempi differenti. Le informazioni che questi si trasmettono sono veicolate attraverso documenti – referti, certificati, verbali – che sono firmati da chi ha responsabilità di attestare le informazioni che vi sono riportate.
È, in altre parole, un flusso di lavoro che si basa sull’assunzione di responsabilità da parte dei professionisti sanitari che prendono le proprie decisioni sulla base di informazioni prodotte da altri e validate attraverso una firma.
In termini informatici, chiameremmo questo meccanismo un “trust federato” il cui protocollo o vettore è oggi costituito da un documento firmato.

Eliminare i documenti o associare a questi una quantità di dati atomici estratti da sistemi clinici, senza magari fornire altre informazioni utili (ad esempio, relativi al contesto) affinché i primi possano diventare conoscenza, comporta una profonda riflessione sul modo di concepire il lavoro dei medici. Che significato clinico dare a un valore di glicemia anomalo rilevato magari dal paziente stesso o attraverso un sistema di telemedicina? Oppure a una diagnosi tout-court senza ulteriori informazioni?

Rispondere a questa domanda sostenendo che è facoltà del medico valutare se e come tener conto di queste informazioni significa voler banalizzare il problema, dal momento che tralasciare delle informazioni può configurarsi come un atto di negligenza ma, viceversa, basare le proprie decisioni su informazioni non attendibili può invece portare a degli errori.

Servirebbe, insomma, una seria riflessione e un confronto con le professioni sanitarie su questo punto che, magari, andava fatto prima di disegnare e avviare dei progetti così importanti. È questo il solito “vizio” dei tecnici che pensano di sapere ciò che è utile per la Medicina senza però avere alcuna competenza né esperienza sul loro lavoro.

Serve un percorso di empowerment digitale

C’è poi un secondo aspetto che è altrettanto importante ed è collegato al primo. Abbiamo visto che i dati strutturati sono la condizione necessaria per progettare e realizzare sistemi clinici in grado di fornire valore a medici e infermieri (e non solo). È una condizione necessaria ma, purtroppo, non sufficiente. Non basta, infatti, rappresentare le informazioni con dati strutturati per avere magicamente un ecosistema di servizi intelligenti. Bisogna saperli ideare e sviluppare. Qui ritorniamo al problema già evidenziato, ossia alla autoreferenzialità dei tecnici e alla loro non conoscenza delle reali esigenze e necessità di medici ed infermieri.
Si potrebbe confutare questa affermazione osservando che i tecnici delle aziende che sviluppano soluzioni per questo settore si confrontano con gli utenti, raccolgono le loro esigenze e le implementano nei loro sistemi e che questi, quindi, rispecchino la domanda del mercato.
Questo ragionamento, però, non tiene conto del bias rappresentato dal fatto che medici e infermieri riescono a esprimere ciò che conoscono e ciò a cui sono abituati.
Manca loro una conoscenza approfondita sulle reali potenzialità delle tecnologie digitali che non consente loro di avere una visione innovativa su come trasformare le soluzioni software. Esiste un gap cognitivo che impedisce o, nella migliore delle ipotesi, condiziona la loro capacità di formulare proposte efficaci e di valore.

Ma come è possibile allora uscire da questo loop?

Serve un percorso di empowerment digitale per le professioni della sanità (non solo medici e infermieri, ma anche funzionari e dirigenti) volto a formare queste persone e consentire loro di diventare i protagonisti di una trasformazione digitale che deve essere rivolta alla creazione di valore.

Non possiamo lasciare l’evoluzione della medicina ai soli tecnici (di cui chi scrive fa parte). Prima ce ne renderemo conto, meglio sarà.

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