In teoria, gli elementi per far sì che la telemedicina diventi routine nella pratica clinica ci sono finalmente tutti.
Ci sono le indicazioni nazionali del 2020 e le linee di indirizzo del PNRR per i servizi di telemedicina di quest’anno, un miliardo di fondi per la Piattaforma Nazionale – 260 milioni, da realizzarsi mediante un PPP e circa 740 per l’acquisto da parte delle regioni e delle aziende sanitarie di soluzioni di telemedicina – una convenzione Consip per l’acquisto semplificato (gara sanità digitale 1 – lotti 3 e 4 per 230 milioni di euro), due regioni capofila – Lombardia e Puglia – per la selezione e la validazione delle soluzioni per conto di tutte le altre.
Come mai allora, nonostante tutto ciò, la telemedicina stenta a decollare?
Non è che forse, paradossalmente, ci sono troppi elementi che non sono coordinati tra loro e che generano entropia?
Esaminiamoli in dettaglio.
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Cos’è la telemedicina?
Può sembrare una domanda banale, o addirittura stupida, ma ci sono diverse interpretazioni in merito.
La telemedicina è un’applicazione a sé stante, integrata con altri sistemi, o un’infrastruttura IoT a servizio di altri sistemi, cartella clinica elettronica in primis?
Sul mercato ci sono diversi sistemi con cui è possibile svolgere televisite, teleconsulti o rilevare a distanza i parametri vitali (telemonitoraggio). Possiedono le funzioni che servono per assolvere a questi compiti e un’infrastruttura di interoperabilità per integrarsi con gli altri sistemi ospedalieri o territoriali.
In questa accezione, la telemedicina è un nuovo sistema che si aggiunge a quelli che medici e infermieri adoperano per visitare, fare diagnosi e prescrivere terapie ai loro pazienti.
Telemedicina e cartella clinica elettronica
In un workflow clinico, un medico o un infermiere possono operare in presenza o in remoto ma, distanza a parte, non cambia ciò che devono svolgere.
Prendiamo, ad esempio, una televisita. Come in una visita in presenza, il medico dovrà consultare i dati e i documenti del paziente (prima, durante o dopo), annotare delle informazioni, redigere un referto, prescrivere degli esami o un’altra visita e così via. Attività che oggi sono svolte principalmente attraverso una cartella clinica elettronica. Ciò che cambia, è la necessità di una connessione audio-video per interagire da remoto con il paziente.
Le cartelle cliniche elettroniche, però, salvo rarissime eccezioni, non possiedono questa funzione. Ecco che, allora, chi sviluppa sistemi di telemedicina inserisce alcune funzioni per fornire ai medici ciò di cui hanno bisogno, con il risultato di duplicarne alcune. L’alternativa è integrare, con questo sistema con l’Order Entry, la cartella clinica elettronica, il repository clinico e così via. Lo stesso vale per il telemonitoraggio che, di norma, possiede una propria funzione per impostare il programma di rilevazione, una dashboard per la visualizzazione dei parametri, la gestione delle soglie e così via.
La scelta più efficace sarebbe inglobare le funzioni di telemedicina nelle cartelle cliniche elettroniche, ossia concepire la telemedicina come un’infrastruttura IoT, dotata di API, che funga da producer, lasciando il ruolo di consumer alle prime.
Non ha infatti senso, oggigiorno, separare la pratica in presenza da quella in remoto. Non si può pensare, nel 2022, a una cartella clinica elettronica priva di tali funzioni. È necessario affrontare il tema del workflow clinico in modo integrato, digitale.
Malgrado ciò, le iniziative in corso vedono la telemedicina come un’applicazione a sé stante.
La gara Consip di sanità digitale 1, ad esempio, divide la cartella clinica elettronica (lotti 1 e 2) dalla telemedicina (lotti 3 e 4).
La Piattaforma Nazionale di Telemedicina
Il disegno della Piattaforma Nazionale di Telemedicina che Agenas ha fornito per la partecipazione al Partenariato Pubblico Privato prevedeva quattro livelli o insiemi di servizi:
- I servizi centrali per l’integrazione con i sistemi centrali nazionali previsti per il processo di transizione digitale dei servizi erogati dalla PA
- I servizi abilitanti che costituiscono un insieme di best practice organizzative e di processo alle quali possono essere associate delle componenti applicative per facilitarne l’adozione da parte dei contesti locali
- I servizi minimi di telemedicina, ciascuno composto da una serie di componenti applicative che, integrandosi tra loro e con i sistemi presenti nei contesti locali, permettono di erogare i servizi di telemedicina.
- Il layer d’interoperabilità per consentire la collaborazione applicativa dei verticali regionali e aziendali verso i microservizi della Piattaforma, garantendo l’orchestrazione nei contesti locali e la corretta fruizione di dati e servizi da e verso il livello centrale.
Il disegno prevedeva quattro set di servizi minimi per televisita, teleconsulto, telemonitoraggio e teleassistenza.
Il primo (televisita) prevedeva un set di microservizi composto da una componente per la gestione di questionari, un motore di workflow, una componente per la condivisione bidimensionale dei documenti, la comunicazione multimediale per le videochiamate, la gestione degli eventi e le notifiche, l’arruolamento del paziente e, infine, un tool per la messaggistica istantanea.
Per il telemonitoraggio, erano previsti una componente per la gestione dei percorsi di cura, un motore di workflow, una componente per la validazione della qualità dei dati, una per la comunicazione multimediale per le videochiamate, una per la configurazione dei dispositivi medici, una per la formazione del paziente e dei caregiver, la gestione dei questionari, il case manager per il monitoraggio del piano terapeutico, la gestione di eventi e notifiche e la messaggistica immediata.
La proposta dell’unico RTI (Poste Italiane, Dedalus, Engineering, Althea ed Almaviva) che ha risposto al bando e che costituisce quindi il Progetto Tecnico dell’architettura e dei servizi (“PTAS”) su cui si svolge la gara, di cui l’RTI ha diritto di prelazione, comprende i servizi abilitanti, il layer di interoperabilità e quello relativo alla sicurezza, come si evince dalla figura seguente.
Nel Progetto Tecnico, non sono presenti i servizi minimi di telemedicina che, viceversa, sono presenti nel documento “Caratteristiche dei servizi e della gestione” come Servizi Abilitanti Estesi e Servizi Accessori. Questi ultimi possono essere richiesti da Agenas o, tramite la stessa, da altre amministrazioni pubbliche, oppure da strutture private convenzionate con il SSN o ancora da soggetti extra SSN. La loro attivazione prevede un costo una tantum e un canone di gestione.
Le regioni capofila per promuovere le gare
È stato costituito un Comitato Interministeriale sulla Telemedicina, coordinato dal Ministero dell’Innovazione e della Transizione Digitale, ora scomparso con il nuovo governo Meloni, che aveva in Lombardia e Puglia le due regioni capofila che devono promuovere delle gare per individuare e valutare le soluzioni di mercato conformi alle linee guida per i Servizi di Telemedicina.
Secondo il Comitato, le gare dovevano svolgersi su più lotti, ciascuno per una patologia specifica.
In questo approccio, la logica di telemedicina come sistema applicativo a sé stante raggiunge il suo apice, prevedendo – in teoria – sistemi diversi per differenti patologie!
Com’è facile immaginare, il principio di dover utilizzare soluzioni scelte e valutate da Lombardia e Puglia non trova il gradimento di tutte le regioni.
Alcune di esse hanno dichiarato che si muoveranno per loro conto, come ad esempio il Friuli-Venezia Giulia, regione che era partita con una procedura di gara prim’ancora del PNRR.
I tre possibili percorsi
Esistono, dunque, 3 percorsi per l’acquisizione delle soluzioni di telemedicina:
- la Piattaforma Nazionale, dove le regioni possono richiedere i servizi minimi previsti
- la gara di sanità digitale 1 di Consip
- le gare di Lombardia e Puglia con cui ingaggiare i fornitori delle soluzioni che sono state validate (con un meccanismo simile a quello delle gare Consip).
Il futuro della Telemedicina: ripensarne la strategia
Alla luce di tutto ciò, sarebbe necessario ripensare la strategia complessiva sulla telemedicina a partire dalla sua completa integrazione nei workflow clinici ospedalieri e territoriali.
Bisogna poi domandarsi se abbia senso un processo di qualificazione solo per la telemedicina o se questo non debba estendersi ai sistemi clinici, incominciando dalle cartelle cliniche elettroniche.
Occorre poi affrontare, in modo profondo, il senso (a livello clinico) e la sostenibilità (a livello privacy) della scelta di voler raccogliere a livello centrale i dati della telemedicina.
Serve, insomma, un ragionamento che comprenda tutti gli aspetti che l’uso della telemedicina comporta, coinvolgendo per primi i medici e gli infermieri che ne sono i principali utilizzatori.
Magari, attraverso un confronto pubblico, aperto, con tutti i portatori di interesse.