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Telemedicina garante di inclusione e diritto alla salute

Pubblicato il 12 Feb 2024

Massimo Mattone
Massimo Mattone

Direttore Responsabile HEALTHTECH360.it

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L’apertura dei cancelli dei penitenziari alla Sanità Digitale è una buona notizia per il nostro Paese.

Ne parlavo qualche tempo fa, in questo approfondimento sulle tecnologie digitali per l’inclusione e per il diritto alla salute, auspicando che iniziative simili a quella dell’isola-carcere di Gorgona non restassero isolate e, assieme alle altre (non molte, invero) che l’avevano preceduta, potessero fare da stimolo e da volano per una visione della Sanità e delle tecnologie sempre più inclusiva, attenta alle fragilità e alle diversità, capace di scongiurare il rischio di disuguaglianze e di aumentare il livello di esigibilità del diritto alla salute dei cittadini, la sostenibilità e l’innovazione del Sistema Sanitario Nazionale.

In questo contesto, un impulso importante può (e deve) arrivare da una maggiore diffusione della Telemedicina che, tra i tanti obiettivi, ha tra i più nobili anche quello di divenire elemento abilitante per l’equità di accesso alle cure.

Telemedicina in carcere e umanizzazione delle cure

E la Telemedicina che entra nel carcere di Velletri – sebbene sia solo un piccolo passo in questa direzione – è una di quelle (recenti) notizie che fa sperare davvero che si stia imbroccando la strada giusta.

“Puntiamo sulla Telemedicina al carcere di Velletri – ha affermato al proposito Vincenzo Carlo La Regina, Direttore Sanitario della Asl Roma 6 – perché abbiamo il dovere di intervenire subito per risolvere le criticità e migliorare l’accessibilità alle cure sanitarie per i detenuti. Con le visite specialistiche effettuate tramite la Telemedicina possiamo prenderci davvero cura delle persone, garantire sicurezza e minimizzare i rischi associati agli spostamenti”.

Tutto questo – ha chiarito il Direttore – è parte di un processo di umanizzazione delle cure che l’Asl Roma 6 ha intrapreso con coraggio.

Già, umanizzazione delle cure anche per chi, come accade proprio per i detenuti, si trova in una condizione di per sé comprensibilmente così complessa nella quale spesso è, di fatto, impossibile ottenere gli stessi diritti alla salute rispetto a chi non è privato della propria libertà personale.
Una scelta, quella di aprire i cancelli dei penitenziari, il cui stesso coraggio sarebbe ora pervadesse a macchia d’olio un po’ tutte le aziende sanitarie del nostro Paese che sovrintendono territori nei quali sono presenti istituti penitenziari.

Esempi e progetti di Telemedicina in carcere

Tra i precedenti “coraggiosi” che hanno messo in campo i propri sforzi per cogliere le opportunità e i tanti potenziali vantaggi della Telemedicina in carcere, va sottolineato, ad esempio, il progetto per la Casa Circondariale Rebibbia “Liberi@mo la salute: Telemedicina negli Istituti Penitenziari”.

Nata con l’obiettivo di migliorare l’assistenza dei pazienti negli Istituti di pena, tale iniziativa di inclusione – come chiarito dalla nota della Regione Lazio in occasione dell’evento di presentazione del progetto del dicembre 2021 – consente di assicurare televisite, teleconsulti, telerefertazione e telemonitoraggio.
Il medico, infatti, all’interno del penitenziario, acquisisce ed esamina gli esami diagnostici effettuati nel carcere per condividerli con un reparto ospedaliero specialistico attraverso l’utilizzo di un apparato di videoconferenza, dove lo specialista supporta il collega da remoto nell’eventuale formulazione della diagnosi e per la definizione della necessaria strategia terapeutica.

Tra gli esempi di progetti di Telemedicina in carcere, tra gli altri, è da annoverare anche quello avviato dall’Asl 4 Liguria con la Casa di reclusione di Chiavari.

Oltre ad aver rodato la prenotazione e l’erogazione delle prestazioni specialistiche da remoto di Medicina Interna e Diabetologia – si legge in un una nota dell’Asl della scorsa estate – è stato attivato anche il percorso di Dermatologia, del quale si sono già svolti teleconsulti.
Il progetto prevede stabilmente la possibilità per il medico del carcere di prenotare la televisita in queste discipline attraverso l’apposita agenda per poi collegarsi da remoto con gli specialisti dell’Asl e condividere insieme la visita a distanza al paziente detenuto, utilizzando le rispettive postazioni informatiche che consentono anche di caricare i referti, verificare insieme i parametri, eseguire telemonitoraggi e attività di riconciliazione farmaceutica.
L’obiettivo comune – precisa la nota – è migliorare e incrementare l’assistenza sanitaria già garantita e favorire la centralità della persona nei percorsi di cura, ottimizzando anche le risorse a disposizione.

Telemedicina in carcere: perché è così importante e come impatta sulla condizione detentiva

Ma perché è così importante che la Telemedicina entri in tutte le carceri? In che modo impatta sulla condizione detentiva?

La condizione di detenzione – aveva spiegato l’allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia proprio in occasione del suddetto evento di presentazione “Liberi@mo la salute” – rende, di fatto, la tutela della salute assai difficoltosa.
La Telemedicina diventa così preziosa nel realizzare i dettami dell’art. 3 della Costituzione che prevede come compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la piena realizzazione dei valori costituzionali.
Curare il corpo e la mente di chi vive in carcere è la condizione perché la detenzione assolva alla sua funzione di rieducazione“.

Amministrazione penitenziaria e sanitaria: il problema (comune) della carenza di risorse

L’opportunità di introdurre i servizi di Telemedicina in carcere è legato a doppio filo al problema delle (scarse) risorse a disposizione.

“Purtroppo – come spiega al proposito Claudio Leonardi, Direttore del Dipartimento Tutela delle Fragilità Asl Roma 2, nel corso di un’intervista (pubblicata sulla rivista Antigone) di Daniela Ronco, ricercatrice in Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino e membro dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione e dello European Prison Observatory – l’amministrazione penitenziaria e l’amministrazione sanitaria hanno in comune un punto fondamentale: sono carenti di risorse. E, spesso, le difficoltà sono le stesse.

Io prima di parlare con lei – dice Leonardi a Ronco, ndr. – stavo parlando con un collega del carcere che mi diceva: “Devo mandare in ferie una persona, non ho un sostituto!”. Ecco, queste cose che accadono nella nostra organizzazione accadono anche nell’organizzazione dell’amministrazione penitenziaria, per cui uno dei più grandi problemi che ci sono è quello di tradurre all’esterno i detenuti o per andare a fare una visita specialistica o, nella peggiore delle ipotesi, per essere trasferiti nel pronto soccorso.
Alcune volte, senza entrare nel merito del perché si creano queste faccende, potrebbe non essere necessario un trasferimento, non tanto per la visita di controllo, quanto per l’invio al pronto soccorso. Magari, sarebbe sufficiente avere il conforto di uno specialista o dello stesso collega che si trova al pronto soccorso, che di fronte a dei riscontri che noi possiamo fare, ad esempio con l’analisi del sangue o attraverso un esame obiettivo, una radiografia urgente, eccetera eccetera, potrebbe darci delle rassicurazioni soprattutto rispetto alla situazione generale e magari improntare, in una fase iniziale e all’interno dello stesso carcere, tutta una serie di interventi farmacologici anche considerabili d’urgenza, ma che non rendono necessario il trasferimento immediato in ambulanza di questa persona.

È ovvio – sottolinea Leonardi – che tutto questo serve anche per capire se, invece, questo trasferimento deve essere fatto d’urgenza perché la situazione di quella persona non è curabile, la risoluzione dei suoi problemi non è affrontabile all’interno del carcere o, appunto, per evitare che questa traduzione avvenga e magari, invece, si poteva assolutamente evitare facendo degli interventi all’interno del carcere stesso.

Ovviamente – precisa – l’intento è quello di incrementare sempre più (questi servizi, ndr.), perché il grosso del problema delle traduzioni non riguarda soltanto il trasferimento in ospedale per le urgenze, ma riguarda anche l’attività di routine che si deve fare per questi pazienti. Per alcuni esami, soprattutto quelli strumentali che possono essere fatti all’interno del carcere, si potrebbe evitare che i detenuti debbano uscire per andare, appunto, nell’ambulatorio esterno a fare queste visite”.

La Telemedicina in carcere tra convenienza economica e rischio disumanizzazione

C’è anche chi osserva, però, che l’uso eccessivo – e non regolato da policy ad hoc – della Telemedicina in carcere possa portare, piuttosto che ad una umanizzazione delle cure, all’esatto contrario, ossia alla disumanizzazione. E al rischio che – per situazioni di convenienza logistico-economica – si tenda sempre ad evitare la traduzione esterna del detenuto con la “scusa” di garantirne una maggiore “sicurezza”.
Detenuto per il quale, peraltro, anche una semplice uscita per una visita medica può apparire un’occasione da non perdere per avere un contatto con il mondo esterno e prendere una boccata d’aria.

“Consideriamo anche – osserva al proposito Leonardi nella suddetta intervista – e questo sembrerà una stupidaggine, ma è una situazione con la quale noi stiamo facendo i conti e continueremo a fare i conti – che i detenuti sono persone private della loro libertà: andare in ospedale significa mettere il naso fuori dal carcere e una visita medica può rappresentare per loro un modo per uscire per qualche ora. Anche se si finisce dentro a una camionetta che ti porta in ospedale, esci dalla camionetta, entri dentro un ambulatorio, fai la visita e torni in carcere […]. Quindi – sottolinea Leonardi – se andare a fare una visita all’esterno può essere anche un’occasione per mettere il naso fuori dal carcere, questo può essere ostativo per uno sviluppo rapido di un tipo di assistenza che si può fare in carcere”.

Ma qui il problema è, forse, (anche) un altro. E, cioè, che al detenuto, per “mettere il naso fuori dal carcere”- in linea con la finalità rieducativa della detenzione – dovrebbero e potrebbero esser date opportunità di certo migliori e diverse rispetto a quelle di una visita medica…

Resta da considerare, invece, il rischio ben più concreto di far prevalere gli aspetti economico-logistici connessi alla traduzione del detenuto rispetto al diritto fondamentale di questi di farsi assistere da un medico in presenza.

Tutto ciò va scongiurato e, per farlo, sono necessarie policy ad hoc che regolino l’uso dei servizi di Telemedicina in carcere.

L’innovazione tecnologica metta al centro le effettive esigenze dei detenuti

Come osservato in alcuni studi di settore, infatti, uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo dei servizi di Telemedicina in carcere quale alternativa credibile all’assistenza sanitaria convenzionale è rappresentato proprio dall’assenza di una policy coerente ed esaustiva attraverso cui identificare e affrontare i nodi critici posti dall’utilizzo di questi servizi.

La definizione di questa policy – si legge nello studio “Telemedicine and right to health in Prison: state of art, risks and opportunities” di Carlo Botrugno – richiede una “visione d’insieme” che garantisca che l’innovazione tecnologica sia calibrata sulle esigenze effettive dei detenuti – e quindi su una previa analisi dei bisogni – e che non stravolga l’assetto organizzativo preesistente, ovvero, più nello specifico, che non pregiudichi la possibilità (il diritto) di ogni detenuto di farsi assistere comunque da un medico “in carne ed ossa”, anche se ciò comporta la sua traduzione all’esterno dell’istituto.

È possibile sostenere che l’introduzione di servizi di Telemedicina in carcere – sottolinea l’autore dello studio – debba essere accompagnata da una serie di cautele volte a prevenire e/o ad attenuare i rischi associati all’assenza di contatto fisico tra medico e paziente. Tra queste cautele, per esempio, si può menzionare la definizione di criteri di inclusione (o di esclusione) in modo che possano accedere ai servizi a distanza solo quei pazienti che, sulla base di una valutazione preventiva, si ritenga possano trarre vantaggio dal loro utilizzo – per esempio, si potrebbe evitare che i pazienti con psicosi gravi o fobie nei confronti della tecnologia siano assistiti tramite la Telemedicina.

È chiaro che la diffusione della Telemedicina all’interno degli istituti penitenziari – prosegue Botrugno – non deve avere come effetto ultimo quello di aggravare il “doppio binario” già esistente tra popolazione detenuta e popolazione in libertà con riferimento alla garanzia del diritto alla salute.
In altre parole, va evitato che la Telemedicina in carcere si trasformi in prerogativa uti captivus, che appiattisce il diritto alla salute dei detenuti a un mero “vedere” e “farsi vedere” dai professionisti sanitari attraverso lo schermo di un computer, mentre la popolazione in libertà ha, invece, la possibilità di combinare le forme dell’assistenza convenzionale ai benefici derivanti dall’innovazione tecnologica.

Telemedicina in carcere: non obbligo, ma servizio integrativo

Al detenuto, dunque, dovrebbe essere sempre lasciata la possibilità di scegliere tra visita a distanza in Telemedicina e visita in presenza, sia essa effettuata fuori dal penitenziario e/o all’interno dello stesso.
E, in quest’ultimo caso, occorre anche fugare il dubbio che la Telemedicina in carcere possa trasformarsi in un boomerang per il detenuto – legittimando in qualche modo l’eventuale indisponibilità di medici e personale sanitario all’interno del penitenziario e relegando la Telemedicina alla stregua di “guardia medica notturna” quando un cittadino non riesce a reperire il suo medico abituale.

In questi casi, un possibile approccio per fugare dubbi di questo tipo è quello adottato dall’Azienda Usl Toscana nord ovest nel caso dell’isola-carcere di Gorgona: Sviluppare la Telemedicina – ha sottolineato al proposito il direttore dell’area Supporto ai servizi sanitari e al cittadino dell’Usl Alessandro Iala – non significa sostituire la presenza fisica del medico del carcere. Un paziente detenuto che lamenta un disturbo verrà sempre visitato dal medico fisicamente presente nella struttura. Sarà lui a decidere se accedere o meno alla Telemedicina, che dovrebbe configurarsi più come un servizio integrativo”.

La Telemedicina può aprire una nuova stagione per il diritto alla salute dei detenuti

Dunque, come appare da quanto finora analizzato, l’effettiva messa a terra della Telemedicina in carcere è una questione certamente molto complessa e – per risultare effettivamente vantaggiosa e non rivelarsi un boomerang per il diritto alla salute degli stessi detenuti – è necessario sia opportunamente regolamentata e ben vigilata dal Legislatore.

Tuttavia – come conclude lo studio del Botrugno e come emerge, invero, sia pur con alcune differenze, da molti studi e ricerche in merito – se calibrata sugli effettivi bisogni della popolazione detenuta e sulla necessità di rispettare alcuni standard di qualità dell’assistenza sanitaria, la diffusione della Telemedicina in carcere può rappresentare l’avvio di una nuova stagione dei diritti dei detenuti, contribuendo all’emersione di una “cultura” che veda la detenzione come null’altro che la privazione della libertà personale, da realizzare nel pieno rispetto di tutti gli altri diritti fondamentali.

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